Pensieri, progetti e sorrisi. A Kandersteg con il CAI Eagle Team

Non solo formazione e allenamento: il CAI Eagle Team è anche forza e leggerezza di un gruppo, sogni, speranze e allegria.
© Alessandra Prato

All’inizio non riuscivo a fare nessun programma concreto successivo alla settimana Eagle Team a Kandersteg, come se questa costituisse una barriera invalicabile tra la mia vita prima e un mare nero dopo. “Ci pensiamo dopo Kandersteg”, dicevo a tutti.

Era un luogo misterioso, avvolto da un’aura quasi magica. Conoscevo solo la Breitwangflue, che mi affascinava almeno quanto mi spaventava, e che ritenevo ben oltre la mia zona di confort. Dopo aver scalato tutto l’autunno, la prima volta che ho preso in mano le picche me ne sono tirata una in faccia cercando di toglierla dal ghiaccio troppo bagnato in cui si era conficcata: ho sentito un tintinnio e ho visto rotolare un pezzettino di dente giù per la cascata. Un’inaugurazione coi fiocchi della mia stagione di ghiaccio! Senza più un quadratino di incisivo, ma con tanta motivazione, ho cominciato ad allenarmi: all’inizio in ottica di sopravvivere a Kandersteg, poi pian piano in quella di divertirmi e di salire cascate che sognavo da un po’. Il ghiaccio in fondo, per quanto freddo e bagnato, è una goduria pazzesca.

Nonostante non mi sentissi pienamente preparata (del resto è così difficile ritenersi pronti: basta non chiederselo troppo), sono arrivata alla partenza estremamente motivata, ansiosa di rivedere tutti i miei nuovi amici, solo un po’ perplessa dalla media dei 14 gradi (sopra zero!) previsti. Effettivamente quando siamo arrivati le condizioni erano preoccupanti: sembrava estate, intorno a noi solo rocce (bagnate) e poca neve, del ghiaccio nemmeno l’ombra. La prima sera abbiamo fatto un brainstorming collettivo per valutare insieme le opzioni di scalare qualcosa che avesse a che fare con il ghiaccio.

Alla fine io sono stata rapita (in modo più che consenziente) da Ezio Marlier, il tutor attribuitomi per i primi giorni, e insieme a Camilla e Lorenzo siamo andati a casa sua in Valle d’Aosta: che giorni meravigliosi! Penso di aver imparato più con Ezio in due giorni che nella mia intera carriera di ghiaccio. Mi sono cimentata su difficili candele, con lui che continuava a ripetermi “tieni ferma la testa”. Ho chiodato un tiro di misto davvero estetico, con Ezio che mi faceva pazientemente sicura per ore mentre trapanavo e chiodavo (facendogli cadere un certo numero di viti nel fiume), e facevo acrobazie tra le candele di ghiaccio. Quando sono tonata a Kandersteg ero felice come una Pasqua. 

Avevo voglia di scalare, ma soprattutto di stare con gli altri ragazzi, di condividere pensieri, progetti e birrette. La stretta convivenza è andata alla grande, abbiamo riso, scherzato, parlato di sogni e pianificatone la realizzazione. La mia unica preoccupazione era il tentativo di non perdere troppo materiale nel marasma di ferraglia e attrezzatura sparso ovunque nelle camerate. Siamo addirittura riusciti a coordinarci per cucinare delle ottime cene.

Anche la parte didattica per me è stata estremamente formativa: oltre alle giornate con Ezio, la serata sulla storia dell’alpinismo su ghiaccio è stata estremamente interessante, quella di Teo (Matteo della Bordella, ndr) sull’organizzazione delle spedizioni provvidenziale, la giornata con Angelika (Angelika Rainer, ndr) nella falesia di dry mi è piaciuta tantissimo (lei è un fenomeno): sono stati giorni davvero intensi e ricchi di avventure.
Tra tutte le novità della settimana, una per me particolarmente significativa è stata il rodaggio di una cordata interamente femminile con Erica e Camilla su una bellissima via alla Breitwangflue: non avevo mai scalato con altre due ragazze, e devo dire che insieme abbiamo funzionato davvero bene, e abbiamo credo segnato l’inizio di qualcosa di grande.

© Alessandra Prato