Fotogrammi d'alta quota: "Verso dove"

Un ritratto intimistico, quello di Kurt Diemberger, che svela un passato intenso vissuto al limite. Dove il limite, qui, rappresenta la morte
Condividiamo l'articolo di Antonio Massena, pubblicato su Montagne 360 di marzo 2021 Un uomo cammina per luoghi più o meno conosciuti, vaga come cercasse di calpestare porzioni di terre ignote, mai calcate prima. Cammina e osserva il mondo che scorre davanti ai suoi occhi cercando di fissarlo, di congelarlo in uno spazio e tempo “altro”, sulla celluloide della sua vecchia cinepresa. Quest’uomo è Kurt Diemberger, alpinista e cineasta di vette rarefatte e terre lontane. Ha 82 anni, non vive nel passato, ma nell’“adesso”, come se esplorasse di continuo la terra che scorre sotto i suoi passi, attraverso luoghi a lui cari: l’Austria, l’Italia, le Dolomiti. Come se continuasse a indagare in quello sguardo del suo “io” che le osserva. Verso dove racconta questo viaggio non chiedendo tanto a Kurt una direzione, quanto piuttosto il conto del suo stato percettivo, dell’esistente, in un presente compenetrato di sguardi contemporanei e antichi, di visioni, che costituiscono il suo “ora”, il suo passato e il suo futuro.

Vita, memoria e introspezione

Vita, memoria e introspezione, a volte autocritica, sull’esistenza di Diemberger, alpinista degli 8.000 (Broad Peak, Dhaulagiri, Makalu, Everest, Gasherbrum II e K2), ma non solo. Un film che si snoda alternando l’oggi al passato, la quotidiana attualità alle immagini alpinistiche realizzate da lui stesso. Un ritratto intimistico che svela un passato intenso vissuto al limite. Dove il limite, qui, rappresenta la morte. Il ricordo toccante di Julie Tullis, sua compagna d’avventure alpinistiche e collega cineasta, le decisioni prese assieme, l’arrivo di entrambi in vetta al K2 nel 1986. Kurt che scenderà da solo e lei che non ce la farà. Nero. Le immagini in primo piano delle vecchie attrezzature e dei materiali alpinistici con la camera che sembra accarezzarli e, fuori campo le voci, i suoni, i respiri, i fremiti, le comunicazioni radio che provengono dal girato delle spedizioni e poi ancora l’oggi. La vecchia cinepresa Bolex Paillard, custodita nella sua borsa originale: la pulisce, la controlla, la verifica, la coccola con amore, è una parte rilevante della sua vita. Gli anni passano e le abitudini si trasformano, non più le alte vette ma le lunghe passeggiate e le escursioni a quote abbordabili, ma lo stesso intenso e ineguagliabile amore per la natura che lo riporta all’infanzia.
Un fotogramma del film © Montagne 360
Un viaggio nelle memorie, nel ricordo anche di quegli alberi che, in momenti diversi della sua esistenza, hanno avuto significati influenti: la corteccia dell’albero che aveva l’abitudine di accarezzare a Salisburgo e che gli restituiva la forza di scrivere nei momenti di vuoto. Gli alberi dell’infanzia e dei ricordi delle lunghe passeggiate nei boschi col padre, gli alberi che generano le idee. E poi le riflessioni che, prima o poi, tutti gli alpinisti si pongono: arrivare in vetta a tutti i costi o saper tornare indietro quando è necessario? Prima o poi, quando si va in montagna, può succedere che si incontri la morte, e se non succede, la vita che continua ti regala e ti regalerà momenti magici come quelli di riuscire ancora a camminare su dolci colline e comodi sentieri respirando, con tutti i sensi, i suoni e gli odori di questa magnifica natura che ci circonda. Il film ha solo qualche momento un po' lento, e forse eccessivamente dilatato, nella parte finale con la descrizione dell’incontro fra Kurt e il suo vecchio compagno di cordata Wolfi Stefan. Regia Luca Bich (Italia 2014) - 51 minuti Presentato in concorso al Film Festival di Trento nel 2014