Il fragile equilibrio all’interno dei ghiacciai

La tragedia della Marmolada impone un’ulteriore riflessione sulle complesse dinamiche che interessano i ghiacciai e suscita interrogativi a chi, per passione e con finalità scientifiche, va sotto la superficie delle colate gelate e si muove al loro interno
Dopo il tragico crollo avvenuto il 3 luglio scorso dal ghiacciaio della Marmolada, abbiamo ritenuto opportuno porre alcune domande, riportando una sintesi delle loro risposte, ad Andrea Ferrario e Paola Tognini, esperti di glaciospeleologia e tra i responsabili del Progetto Speleologia Glaciale che dal 2008 si occupa di monitorare le cavità interne a diversi ghiacciai dell’arco alpino. La tragedia dolomitica continua a suscitare interrogativi, e abbiamo ritenuto importante tornare a riflettere sulle complesse dinamiche che interessano le grandi masse glaciali, ascoltando anche il parere di chi, per passione e con scientifico interesse, va sotto la loro superficie e le frequenta dall’interno. Il tentativo è quello di cercare di comprendere meglio la complessità dei ghiacciai che non sono solo elemento connotante del paesaggio montano, ma costituiscono naturali e vitali serbatoi di risorse idriche. Abbiamo dunque ripreso il tema, per cercare di spiegare “come funziona un ghiacciaio al suo interno” anche a chi conosce poco dei ghiacciai, ma li percorre per raggiungere qualche meta alpinistica: un colle, una spalla, una punta. Ad Andrea Ferrario, ad esempio, abbiamo chiesto cosa avremmo visto all’interno della parte poi collassata del ghiacciaio della Marmolada, anche considerando che il crollo ci è parso quasi il risultato di un’esplosione. «Io posso limitarmi a riferire delle sensazioni in base alla mia esperienza. Sicuramente 10 °C di temperatura creano una disponibilità di acqua di fusione in zone che non avevano mai visto così tanta acqua, o per lo meno con elevate quantità in così breve tempo, creando alla massa di ghiaccio pressioni che forse quest’ultima non ha mai sopportato prima. Per far capire le tensioni che ci sono all’interno del ghiacciaio, per esempio quando si scende all’interno, e si è già in profondità, a volte basta fissare una vite da ghiaccio per creare spaccature improvvise nel ghiaccio. Per la quota e le condizioni ambientali, pendenza e altro, dove si è sviluppato il crollo escluderei la presenza di carsismo glaciale vero e proprio ma, come accade nelle grotte “classiche”, c'è una differenza tra quelle carsiche in senso stretto e quelle che chiamiamo tettoniche».
Vuoto e crolli nel Ghiacciaio del Ventina (Val Malenco) © Andrea Ferrario
Vuoto e crolli nel Ghiacciaio del Ventina (Val Malenco) © Andrea Ferrario

Fratture piene d’acqua

«Penso che quello che è accaduto alla Marmolada» dice ancora Ferrario, «sia stato l’innesco di un sistema di fratture piene di acqua che ha incentivato degli scivolamenti della massa glaciale. Consideriamo poi che lo scorso inverno in pratica non ha nevicato. Inoltre, non avendo più temperature costanti sotto lo zero è verosimile che l’effetto adesivo del ghiaccio sia venuto a mancare. La sommatoria di questi fattori può aver creato il distacco importante e improvviso che c'è stato».

Forse la presenza di grandi cavità di contatto…

Rivolgendo la stessa domanda a Paola Tognini, abbiamo ricevuto conferma delle considerazioni di Ferrario e anche ulteriori interessanti informazioni. «Il ruolo della presenza di grandi cavità di contatto è sicuramente cruciale per l’evoluzione futura dei ghiacciai, sia in termini di “ablazione interna”, ovvero la perdita di ghiaccio che consuma il ghiaccio dall’interno, sia in termini di decine di metri cubi di ghiaccio perso istantaneamente quando si verificano crolli». «Non conosco in dettaglio la specifica situazione della Marmolada, quindi non so dire se si possa ipotizzare la presenza di cavità glaciali (anche se la formazione di crepacci semicircolari può far pensare a un vuoto di grandi dimensioni in procinto di crollare), ma c’è un altro fattore che sicuramente entra in gioco in crolli improvvisi di questo tipo. La presenza di acque di fusione alla base del ghiacciaio può innescare scivolamenti repentini, con crolli e avanzamenti rapidissimi delle fronti, i cosiddetti surge glaciali; questo è particolarmente pericoloso per i ghiacciai in quota, sui versanti, che si reggono solo perché il fondo gelato impedisce al ghiaccio di distaccarsi: quando il fondo si scalda, viene meno l’azione collante del ghiaccio».

Masse glaciali minate all’interno

Il quadro è, se possibile, ancor più inquietante rispetto a quanto si può notare dall’esterno, poiché abbiamo masse glaciali minate dall’interno e in profondità. Spiega ancora Andrea Ferrario: «In generale l’incremento di acqua dentro e sotto i ghiacciai porta a un’accelerazione dei fenomeni di crollo e di arretramento di intere porzioni di ghiaccio, e di questo siamo testimoni in diversi casi. Non so se questo fattore sia stato considerato a fondo, però ho ragione di credere che i tempi di scomparsa dei ghiacciai saranno, purtroppo, più veloci del previsto. Noi, in pochi anni, abbiamo visto come sia salita la quota massima dove si formano i mulini glaciali; prima si era intorno ai 2500 metri di altitudine, in pochi anni siamo arrivati a circa 3000 metri. Il rapporto tra le aree di accumulo e di ablazione, ovvero di perdita di ghiaccio, ormai è totalmente a favore della seconda, mentre l’invisibile linea di contatto tra le due zone si sposta sempre più in alto, per cui anche in quota bisognerà prestare sempre maggiore attenzione».
Crollo nel Ghiacciaio del Ventina (Val Malenco) © Andrea Ferrario
Crollo nel Ghiacciaio del Ventina (Val Malenco) © Andrea Ferrario
 

Quando lo spessore del ghiaccio si riduce

Paola Tognini aggiunge ancora alcune considerazioni importanti: «Alle temperature dei ghiacciai alpini, lo spessore di ghiaccio che si comporta in modo fragile è di circa 50 metri: ecco perché in genere i crepacci sui nostri ghiacciai hanno una profondità spesso prossima proprio ai 50 metri; tale profondità è assai maggiore nei ghiacciai molto freddi, come in Antartide, dove ci sono crepacci, detti chasm, profondi diverse centinaia di metri. Quando lo spessore del ghiaccio si riduce, come sta accadendo attualmente, i crepacci si propagano fino a raggiungere il substrato roccioso, per cui il ghiacciaio diventa, alla fine, un insieme di blocchi di ghiaccio frammentato, dove i crolli sono solo in attesa di qualche causa che li faccia partire; per esempio, la presenza di acqua liquida alla base del ghiacciaio, o la presenza di acqua sul fondo dei crepacci dovute all’intesa fusione estiva. Come sta accadendo ora». Andrea Ferrario, naturalista, è socio del Gruppo Grotte Saronno Cai-Ssi Paola Tognini, geologa, è socia del Gruppo Grotte Milano Cai-Sem