“La Vetta degli Dei“: il cuore selvaggio dell’uomo e della natura

Disponibile su Netflix a partire dal 30 novembre, il film d’animazione francese diretto dal regista Patrick Imbert è tratto dall’omonima serie a fumetti giapponese scritta da Baku Yumemakura e disegnata dal celebre autore e disegnatore Jiro Taniguchi
Disponibile su Netflix a partire dal 30 novembre, il film d’animazione francese diretto dal regista Patrick Imbert è tratto dall’omonima serie a fumetti giapponese scritta da Baku Yumemakura e disegnata dal celebre autore e disegnatore Jiro Taniguchi La Vetta degli Dei è la cima più alta della terra, con i suoi 8848,86 metri di altezza. Raggiungere la sommità dell’Everest è ancora oggi un must per molti alpinisti. A dispetto dell’affollamento causato dalle sempre più numerose spedizioni commerciali, ancora oggi l’ascensione  continua a promettere quell’orizzonte poetico e allo stesso tempo umano ed emozionale raccontato da tanti film e opere letterarie. Nell’immaginario collettivo, inoltre, il colosso himalayano rappresenta uno dei pochi luoghi capaci di mettere l’uomo di fronte alla natura più intima ed estrema del proprio essere interiore. ì

Un’immersione nel cuore selvaggio dell’uomo e della natura 

L’autore di fumetti e disegnatore giapponese Jiro Taniguchi (deceduto nel 2017) è narratore della dimensione intima e personale dell’uomo, spesso messo di fronte  alla sua misura infinitesimale, che sia profondamente malinconica, sognante o bestiale e selvaggia. Ne La vetta degli Dei, Taniguchi ha offerto la sua matita e i suoi colori per dare volto e corpo all’ossessione degli uomini per l’altezza. Baku Yumemakura (che ha scritto anche il romanzo omonimo da cui è tratta la serie a fumetti) invece, ha dato vita a una narrazione che racconta una storia di amore per le terre alte e per l’alpinismo.
La copertina del primo volume della serie a fumetti edita in Italia da Rizzoli Lizard © Rizzoli Lizard

Il filo bianco che unisce le pagine alla pellicola 

La trama prende vita dalla storia dell’alpinismo per immergersi nell’interiorità dell’anima dei suoi protagonisti. Dopo aver acquistato a Katmandu, una macchina fotografica forse appartenuta a George Mallory, alpinista britannico deceduto nel primo tentativo di ascensione dell’Everest, il fotografo giapponese Fukamachi potrebbe riscrivere la storia dell’alpinismo mondiale, rivelando le prove della conquista della vetta più alta del mondo da parte della coppia Mallory – Irvine. La macchina fotografica però, viene sottratta insieme al suo rullino. Da quel momento, la narrazione si immerge nel cuore selvaggio dell’alpinista Habu Jôj, lupo solitario che aspira all’ascensione dell’Everest. Dopo un film con attori in carne ed ossa, uscito nel 2016 e presentato al Trento Film Festival, la serie a fumetti viene trasposta anche in un film di animazione francese diretto da Patrick Imbert. La pellicola è stata presentata al festival di Cannes a maggio di quest’anno e sarà visibile a livello globale su Netflix a partire dal prossimo 30 novembre. Nel romanzo grafico, il rapporto tra Fukumachi e l’alpinista Habu Jôj viene indagato attraverso la messa in scena di numerosi flashback che descrivono con minuzia di particolari la loro interiorità. Una sorta di cartina geografica che traccia e definisce le ragioni delle scelte dei due protagonisti: sia che si tratti di un fotografo e giornalista che si lancia in un’indagine che un alpinista che decide di mettersi alla prova, in solitaria, di fronte al ghiaccio e alla roccia. Allo stesso tempo, le illustrazioni precipitano il lettore nelle quote elevate e nelle vertigini dell’Himalaya. Infatti, i disegni di Taniguchi danno l’impressione al lettore di essere a fianco dell’alpinista: a pochi metri da un crepaccio o aggrappato a una parete sospesa nel vuoto. Le animazioni del film non sono da meno: le montagne emergono con tutta la loro imponenza.

Un approccio delicato alla narrazione 

Ad accomunare il film e la serie a fumetti è l’approccio delicato alla narrazione. In contrasto con la forza della natura. «C'è una dolcezza nel film, un tocco leggero che enfatizza i movimenti eleganti, a volte maestosi, necessari per conquistare queste vette. Questo non vuol dire che la posta in gioco sia minimizzata, ma che la bellezza e la brutalità riescono a mescolarsi insieme», scrive Variety in una recensione del film.