Mahsa, una nuova via sui Torrioni del Ru

Gian Maria Grassi e Renato Giustetto hanno aperto il 22 ottobre scorso una nuova via di arrampicata intitolandola alla giovane donna curda Mahsa Amini, morta dopo essere stata arrestata in Iran per aver indossato in modo scomposto l'hijab
Torrioni del Ru è il nome con cui le carte militari chiamano la parete rocciosa che, nelle Valli di Lanzo, sovrasta il comune di Balme e che da tempi immemori i balmesi chiamano L’Ròtchess, le rocce. In lingua franco provenzale Ru significa “canale artificiale di alta montagna”. “Il Labirinto Verticale” invece è il bel sentiero che attraversa il versante del torrione esposto a sud in cui predomina il cloritoscisto, un minerale di origine metamorfica il cui significato semantico è “dividersi”, “rompersi”. È qui che gli alpinisti Gian Maria Grassi e Renato Giustetto hanno aperto il 22 ottobre scorso, una nuova via di arrampicata, intitolandola alla giovane donna curda Mahsa Amini. Un gesto dal significato universale a sostegno di una battaglia che troppe donne devono ancora combattere, per affermare il diritto all’autodeterminazione.
Apertura via Mahsa
Un momento della salita © Archivio Grassi-Giustetto

Una donna che non si è riconosciuta nell'imposizione delle regole

È in questo contesto, geologicamente complesso e ricco di storia, che il nome di Mahsa rimarrà per sempre, a ricordare la sfida all’imposizione di regole nelle quali la donna non si è riconosciuta. Mahsa è morta, dopo essere stata arrestata per aver indossato in modo scomposto l'hijab, il velo con cui ogni donna, in Iran, deve coprire il capo. La polizia degli Āyatollāh iraniani, ossia i più autorevoli esponenti del clero sciita, l’hanno punita avendo interpretato il suo comportamento come un attacco al potere che rappresentano, civile e religioso.

In montagna crescente sensibilità per la donna

In montagna, molto lentamente, si sta diffondendo una sensibilità culturale nei confronti della donna; lo commenta Alberto Caresana, Istruttore nazionale di arrampicata libera (Inal) e della Scuola centrale di alpinismo del Cai:
«Credo che la nuova via Mahsa Amini sia un gesto di grande rilevanza a riprova di una sensibilità in divenire nei confronti delle donne, anche nell’alpinismo. Per noi alpinisti una nuova via è al pari di un’opera d’arte per un artista. Quando la si dedica ad una persona generalmente si tratta di amici, anch'essi spesso forti alpinisti, prematuramente scomparsi. È un modo per prolungarne la memoria e manifestare il nostro riconoscimento. La traslitterazione di questo messaggio va però anche al di là del "genere", perché riconosce e onora la forza di chi lotta per la libertà ed i propri diritti, in qualsiasi forma essi si esprimano. L’arrampicata, del resto, ha il significato sublime e recondito di essere un gesto inutile che voglio essere libero di fare, perché mi piace».
targa via mahsa
Targa della via Mahsa Amini © Archivio Grassi-Giustetto

I simboli che la donna porta con sé

Chi pratica l’arrampicata su roccia ha sicuramente incontrato vie denominate al femminile ma riferite ad esperienze individuali come il ricordo di una fidanzata, di una compagna, di un’amica, non certo in memoria di una donna che sta diventando simbolo di emancipazione. Consentire alle donne di accedere agli spazi che, per cultura, sono ancora concepiti prevalentemente al maschile significa per l’uomo rinunciare ad una supremazia che si è radicata storicamente in Oriente come in Occidente. Intitolare una nuova via a Masha significa rivolgere la propria attenzione ai simboli che la donna porta con sé ma senza decretare supremazie o strumentalizzazioni ideologiche:
«La montagna è democratica, chi la arrampica o la attraversa non appartiene ad una specie, ad un genere o a una classe, è indifferente che tu sia ricco o povero, bianco o nero», chiosa Gian Maria Grassi, direttore della Scuola centrale di scialpinismo del Cai.
La via Mahsa è stata aperta dopo un periodo di esplorazione che ha consentito ai due alpinisti di definirne la traccia e la chiodatura; quando creatività e conoscenze tecniche si sommano, è arte. E non si tratta di pensare alle donne, ma di lasciarle pensare e permettere che il mondo accada.