Jacopo Larcher, arrampicata trad come esplorazione interiore

Lo scalatore altoatesino è passato dalle gare alla forma più pura del climbing ed è sempre più orientato alle big wall: come la Nameless Tower, salita insieme alla compagna Barbara Zangerl
Jacopo Larcher e Barbara Zangerl su Magic mushroom su El Capitan © Francois Lebeau

Jacopo Larcher sembra più giovane dei suoi 34 anni: sarà forse per lo sguardo vispo, che si illumina quando parla delle avventure vissute e dei progetti che ha più a cuore. Ha sempre in mente qualche nuova spedizione e non è difficile che quando lo chiami lo trovi alla guida del furgone che funge da “seconda casa”. Per sua stessa ammissione vive un po' a Bludenz e un po' nel van, insieme a Barbara Babsi Zangerl, la sua fidanzata e compagna di cordata da 12 anni. Jacopo è un'alpinista che predilige lo stile trad, anche se la sua storia ha altre radici.

 

Come hai iniziato a scalare?

Ho iniziato in palestra a 10 anni, mi sono avvicinato subito alle gare, che ho fatto per altri 10, fino a quando ho deciso di abbandonare quel mondo, per dedicarmi alla falesia. Mi piaceva perché - abitando a Bolzano- era un modo per scalare insieme ad altri bambini, ad altri ragazzi. In città, al tempo, c'era solo una piccola palestra e con le gare potevamo viaggiare, era divertente. Ma non sono un tipo competitivo e non mi piace stare al chiuso, quindi a un certo punto ho deciso di smettere e di continuare solo in falesia, che nel frattempo avevo iniziato a frequentare.

 

Come sei arrivato al trad?

Nel 2011 ho iniziato con le vie lunghe, con quelle sportive per cominciare. Mi è piaciuta subito la sensazione di avventura. Il trad è arrivato un paio di anni più tardi.

 

Qualche via particolarmente significativa di quel primo periodo?

Bella domanda...forse Des Kaisers neue Kleider (difficoltà fino a 8b+), nel Wilder Kaiser. È una delle vie della trilogia delle Alpi, di Stefan Glowacz, e poi Zembrokal, alle Reunion, aperta con James Pearson, Yuji Hirayama, Sam Elias, e Caroline Ciavaldini, dal basso. Non una via lunga, sono 5 tiri, ma mi è piaciuta perché mi ha portato dentro l'avventura. Quando apri dal basso non sai a cosa vai incontro, non sai se sarà possibile o meno, è quello il bello.

 

Larcher su Tribe © P. Sartori

 

Cosa ti affascina invece del trad?

Del trad ho capito che volevo qualcosa di ancora più avventuroso dalla scalata. In quel tipo di arrampicata non c'è solo uno sforzo fisico: è impegnativo dal punto di vista mentale, spesso devi affrontare le tue paure, gestirle, imparare a fronteggiare il pericolo. E poi mi affascina che nel trad ti devi adattare molto, non puoi manipolare la roccia per i tuoi bisogni. Non puoi mettere uno spit per rispettare una linea che magari è estetica, ma che non corrisponde a quello che la natura ti offre per quello stile.

 

È uno stile che ha preso più piede all'estero che da noi, perché?

Non è molto diffuso in Europa, piuttosto in Inghilterra. Un po' anche per questioni legate al tipo di roccia, il calcare non si presta molto. Ma poi è una questione di cultura, da noi il trad è stato un po' accantonato con l'avvento dell'arrampicata sportiva, ma ora ha ripreso abbastanza.

 

Come si fa a fare comprendere che pericolo non è una parola brutta in senso assoluto, a chi magari conosce solo lo sport climbing? Ormai siamo in una realtà dove anche i tiri in falesia sono iper-protetti...

In realtà anche l'arrampicata trad può essere molto sicura, ci sono fessure perfette dove puoi integrare quando vuoi. E poi si può dire che confrontarsi con le proprie paure non deve significare non ascoltarle e mettersi in pericolo. Per quanto mi riguarda, semplicemente mi metto in situazioni dove non mi sento al cento per cento a mio agio; per uscire dalla mia zona di comfort, migliorare e crescere. E poi bisogna capire il perché di una paura. Se hai paura di fare un run out di 5 metri sopra uno strapiombo, protetto con uno spit, beh, allora vale la pena superarla, ha senso. Non c'è motivo di provarla perché non ti puoi fare male. Se invece ti trovi sopra un cliff, su una placca bagnata e rischi di andare a terra…allora ha senso ascoltarla. Tradotto in un esempio per tutti: se guardo giù da un balcone e ho paura, ha senso guardare giù perché sono protetto. Ma se non c'è la ringhiera, il pavimento è bagnato e un po' inclinato...il discorso cambia.

 

Cosa mi dici di Tribe?

Tribe è la più importante delle vie che ho liberato. È stato un percorso lungo sei anni. All'inizio l'ho vissuta come un'utopia, ma poi tornavo e progredivo. C'è stato un punto, piuttosto in alto, dove arrivavo e cadevo sempre. C'è voluto molto lavoro, ma è stato bello sia viverlo che portarlo a termine.

 

Ti rimetteresti in un'impresa del genere?

Non rifarei la stessa, ma mi manca una via simile.

 

Jacopo e Barbara a Yosemite © F. Lebeau

 

Ti capitano invece dei progetti che vuoi portare a termine solo perché ormai ci hai speso molto tempo?

Sì, mi sta succedendo proprio ora. Non è la migliore sensazione, non riesco a godermi totalmente il processo. Ma come dicevamo, ormai ci sono nel mezzo.

 

Con Barbara scali insieme da molto tempo. È cambiato qualcosa nel modo di vivere la cordata?

Scaliamo insieme da 12 anni. Sono cambiate tante cose nelle nostre vite, ci sono un po' più di obblighi. È cambiato che ci conosciamo da più tempo e ci capiamo meglio, abbiamo affinato l'intesa. Noi abbiamo un background simile: Babsi viene dai blocchi e dalla falesia, io dalle gare e dalla falesia, per cui non abbiamo differenze così grandi, non ci siamo scambiati particolari competenze.

 

Chi dei due è il viaggiatore?

Forse io spingo di più per i viaggi; a lei piace di più stare a casa, mentre io voglio sempre muovermi. Ma in generale piace ad entrambi molto, diciamo che sono io quello che propone di più. Il Pakistan nel 2022 e 2021, forse quella è stata la spedizione che più è rimasta nel cuore.

 

Quali sono le vie di cui conservate il ricordo “da fotografia appesa al muro”?

Direi Magic mushroom su El Capitan (in copertina, foto di Francois Lebeau, ndr), la più bella salita che abbiamo fatto in quella spedizione. Bella per la linea, bella come esperienza, siamo andati lì a inizio dicembre, non c'era quasi nessuno. E poi Eternal Flame sulle Torri di Trango: una linea così bella che vuole essere salita.

 

Prossimi progetti?

Adesso ci piacerebbe tornare in Pakistan o in India, sinceramente non ci siamo ancora organizzati. E poi in val di Mello c'è una vecchia via di artificiale al Qualido, da provare in libera. È un settore molto bello, che merita di essere valorizzato.

 

Jacopo e Barbara su Eternal Flame alla Nameless Tower © P. Sartori