Notizie dalle terre alte: in 20 anni si è perso quasi il 2% della vegetazione in montagna

Tra il 2000 e il 2020 si è persa l'1,9% della vegetazione in montagna: meno foreste, praterie e arbusteti. L'espansione dei terreni agricoli, degli insediamenti umani, la siccità e le miniere sono la causa. A dirlo uno studio di scienziati cinesi e tedeschi pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications
Foreste di latifoglie nel Jigme Dorji National Park, Bhutan.jpg © Wikimedia Commons

Negli ultimi 20 anni il mondo ha perso l'1,9% del paesaggio montano ricoperto da vegetazione. A dirlo è uno studio progettato da Chao Yang e Qingquan Li, scienziati dell'Università di Shenzen in Cina, e pubblicato sulla rivista scientifica Nature Communications.

Lo studio è stato realizzato in un arco temporale di 20 anni, dal 2000 al 2020 da Chao Yang, Qingquan Li e altri ricercatori di università e laboratori cinesi e tedeschi. L'1,9% citato equivale a 356.549,9 km² di terreno. Due i fattori decisivi: l'espansione umana e gli eventi naturali, in percentuale nettamente sproporzionata. 

 

Che cosa è scomparso

Dei 356.549,9 km² persi di vegetazione, il 57% sono foreste, il 25% praterie, il 18% arbusteti.

Oltre il 90% delle perdite è stato registrato in otto aree: Asia orientale (16,0%), Nord America (15,6%), Medio Oriente (14,0%), Europa e Russia (13,3%), Africa subsahariana (11,5%), America Latina (11,0%) e Sud-est asiatico (10,5%). Il restante 8,1% ha riguardato l'Asia centrale e meridionale e l'Oceania.

Asia orientale, America Latina, Europa, Russia e Nord America avevano un'area vegetativa molto ampia quando è iniziato lo studio, e la perdita, in termini percentuali relativi, non è stata molto significativa.

Al contrario, in Medio Oriente, nell'Africa Subsahariana e nell'Africa centrale le perdite percentuali sono state più alte perché la superficie di partenza era più bassa. Le montagne in queste regioni sono quindi sottoposte a stress significativi, che richiedono maggiore tutela. 

 

Aree protette e aree ad elevata ricchezza di specie montane minacciate

La perdita di vegetazione nelle aree montane protette è stata dell'1,3% rispetto alla superficie iniziale – pari a 45.011,6 km² – mentre nelle aree ad elevata ricchezza di specie montane minacciate c'è stata una perdita del 2,4%, pari a 169.289,9 km².

La perdita nelle aree protette, sebbene sia contenuta, dimostra che l'obiettivo di tutela non è stato pienamente realizzato.

Le aree ad elevata ricchezza di specie montane minacciate non sempre si trovano all'interno di un'area protetta. In questo caso, la perdita di vegetazione ha riguardato soprattutto il Sud-est asiatico, l'Asia sud-orientale e l'Africa subsahariana orientale. 

 

Le cause

Agricoltura, insediamenti umani, siccità e attività mineraria: queste le cause della riduzione del paesaggio vegetativo montano. Fenomeni che incidono in misura decisamente sproporzionata: l'83% della perdita di vegetazione è dovuta all'agricoltura, l'11% a cause naturali, il 5% agli insediamenti umani e l'1% alla presenza di miniere.

L'aumento di insediamenti e attività umana, tra cui anche l'agricoltura, può generare un aumento dei rischi legati all'insorgere di incendi boschivi, alla diffusione di malattie zootecniche e di scontri tra uomo e fauna selvatica.

Durante i 20 anni dello studio, sono state create 31.432 aree minerarie nelle aree montane, e il 37,4% si trova nelle aree protette montane e nelle aree ad elevata ricchezza di specie a rischio. A minacciare maggiormente la biodiversità sono gli scarti minerari, le infrastrutture sui siti e l'inquinamento delle falde acquifere, dovuto all'attività di estrazione. 

La siccità ha seccato sia zone umide sia zone già tipicamente secche. Anche il verificarsi di disastri naturali può incidere direttamente o indirettamente sulle specie a rischio: incendi boschivi o frane possono uccidere le specie sia animali sia vegetali, mentre la siccità ne mette a rischio la sopravvivenza. 

 

Possibili soluzioni

Lo studio individua alcune possibili soluzioni: rafforzare l'applicazione della legge sulle aree protette esistenti ed estenderla anche alle aree ad elevata ricchezza di specie montane a rischio, così da avere una maggiore tutela.

Tra gli strumenti proposti, ci sono la co-gestione comunitaria delle aree, sistemi di monitoraggio "cielo-terra", ordini di protezione applicati giudizialmente, governance transfrontaliera, land sparing, cioè separare la vegetazione dai terreni usati per le colture. 

 

Quadro Globale sulla Biodiversità di Kunming-Montreal

La perdita della vegetazione ha un impatto importante sulla conservazione della biodiversità e sugli obiettivi di sviluppo sostenibile. Questi ultimi sono stati individuati nel Quadro Globale sulla Biodiversità di Kunming-Montreal, adottato nel 2022 durante la COP15, nell'ambito della Convenzione sulla Diversità Biologica, trattato internazionale sottoscritto nel 1992. Il Quadro impegna tutti gli Stati a raggiungere entro il 2050 gli obiettivi posti nella Convenzione: ridurre i fattori che minacciano la biodiversità; fare un utilizzo sostenibile della biodiversità, valorizzando e conservando i benefici che offre alle persone; condividere in modo equo i benefici, che siano o meno di natura economica, derivanti dalle risorse genetiche, comprese le popolazioni indigene; implementare e rendere accessibili gli strumenti finanziari, tecnici, scientifici e tecnologici per raggiungere gli obiettivi dell'accordo.

La strada per raggiungere questo traguardo passa per obiettivi a medio termine, stabiliti per il 2030. Alcuni tra questi sono: trasformare il 30% delle aree marine e terrestri in aree protette o soggette a tutela, nel rispetto dei diritti delle popolazioni locali; sviluppare processi produttivi che rispettino la biodiversità; ridurre gli incentivi dannosi per la biodiversità – ad esempio i sussidi statali alla pesca che alimentano l'overfishing – di almeno 500 milioni di dollari e destinare questi fondi alla protezione della natura e, viceversa, aumentare i sostegni benefici, come l'introduzione dei Nature Credits.