Operazione biliardo: i Sette 4000 dell'Oberland Bernese

Viaggio concluso
ULTIMO AGGIORNAMENTO: Sabato 10 giugno Viaggio terminato

Sabato 10: giorno cinque

Oggi il cielo è tornato sereno. L’aria è quella un po’ più frizzante dei giorni scorsi, e ci sono tutte le premesse per concludere al meglio questa nostra breve avventura che abbiamo raccontato quasi in diretta sul “Diario di Viaggio”. 

Gli ultimi preparativi al Konkordiahütte prima di affrontare la nuova cime che ci attende.

È notte. Scendiamo come sempre la scalinata che dalla Konkordiahütte permette di atterrare sul ghiacciaio, duecento metri più in basso: quest’oggi il rito della discesa lo facciamo che è ancora sotto fioche stelle, e sembra che il «tum tum» dei nostri passi sui gradini di ferro venga amplificato dal buio

In salita verso il Grunhorn, con le tenebre che iniziano pian piano a lasciare spazio alla prima luce del giorno.

Messi gli sci, iniziamo la salita verso il Grunhorn, il Quattromila più vicino. Tocca correre un po’, perché dovremo affrontare anche tutto il lungo tragitto verso casa, tornando dopo giorni tra neve, roccia e cielo, nel mondo abitato. Per fortuna il manto superficiale della neve caduta ieri mattina ha gelato ottimamente, e si va avanti che è un piacere. 

In salita dei pendii che portano al Grunhorn, mentre l’Aletschorn che svetta sullo sfondo.

Guadagniamo quota in fretta, con ampi zigzag, mentre l’alba fa il suo maestoso ingresso all’improvviso, iniziando a colpire le cime più alte. Noi purtroppo siamo su un pendio orientato a ovest, dunque incontreremo la luce diretta del sole non prima di giungere al colletto, situato tra la nostra vetta e il vicino Grunegghorn. 

In salita, lungo la cresta a tratti esposta da affrontare a piedi, con, tutt’intorno, un panorama spettacolare.

Mangiamo una barretta, beviamo qualcosa e raggiungiamo in breve la cresta sud che ci tocca percorrere a piedi superando le piccole asperità rocciose e alcuni tratti più esposti sul filo, mai difficili. 

Finalmente in vetta al nostro terzo Quattromila di questi giorni. Tutt’intorno e sopra di noi il cielo è stupendo. Con un po’ di rammarico guardiamo i Fiescherhorn e il Finsteraarhorn dinnanzi a noi, le vette mancate. Ma d’altra parte una vetta mancata è l’occasione per tornare in questi posti che ci fanno sentire bene. 

Sulla cima, in posa per la foto di rito, finalmente baciati da una giornata tersa e senza nuvole.

Scendiamo con attenzione e iniziamo la bellissima sciata fino al Konkordiaplatz dove recuperiamo il materiale lasciato questa mattina vicino ad alcune rocce. Tutto è a posto, e senza indugiare ci avviamo in discesa verso la lingua terminale dell’Aletsch che, vista la pendenza modestissima, ci costringe a lunghi tratti spingendo sui bastoncini. Il superamento del labirintico finale, avviene scivolando e scalettando tra il ghiaccio grigio, per poi guadagnare la Valle della Marjela e a ritroso il percorso dell’andata fino alla stazione a monte della funivia, dove tutto, cinque giorni fa, è iniziato.   

La discesa dal Grunhorn

 

 

Venerdì 9: giorno quattro

Le previsioni meteo infauste di ieri purtroppo si materializzano. Pazienza, faremo vita casalinga a 2850 metri, sopra il ghiacciaio più grande d’Europa. 

I lussuosi interni del “locale invernale”, con piumini e lenzuola pulite, attendono il cliente che ha prenotato via Internet.

Abbiamo il nostro posticino nel locale invernale della Konkordiahütte, un bivacco di fortuna – dovrebbe essere – invece sembra un baita super accogliente, con tutto il necessario per una permanenza che farebbe invidia a un rifugio custodito. Non c’è da stupirci, siamo in Svizzera. E qui funziona così: i bivacchi come questo si prenotano via web, si paga una cifra ragionevole e in cambio si riceve la combinazione da digitare sul testierino accanto alla porta d’ingresso. E «click», si dischiude un guscio di legno dotato di brandine con piumoni (sì, non ho sbagliato a scrivere, piumoni!), stufa con legna, e persino provviste di cibo. Non si potrebbe chiedere di più.

Si tagliano i ciocchi di legna da ardere.

Fuori, intanto, vento forte e alcuni centimetri di neve fresca riempiono il limitato paesaggio intorno a noi. Nubi basse, visibilità quasi nulla. Non ci resta che abbandonare ogni velleità e tornare a pigrare. Quando con calma ci rialziamo dalle nostre cucce, ci spartiamo i compiti. 

Mancando l’acqua corrente, dobbiamo ricorrere alla neve per ottenere l’acqua necessaria a bere e cucinare.

Tagliare la legna, accendere il fuoco, sciogliere la neve. Ci prepariamo un piatto di pasta, a me spetta un po’ di lavoro al computer, poi arriva il momento fatidico: l’arrivo delle previsioni meteo aggiornate: per oggi – promettono – schiarite nel pomeriggio. 

Sugo e pasta è il pranzo di oggi.

Le schiarite infatti arrivano, ma le temperature sono troppo alte per avventurarci verso cime importanti. Meglio non azzardare, tenendo contro anche dei dieci centimetri di neve appena caduti.

Pomeriggio, vie le nebbie rispunta il sole. Scendiamo sul ghiacciaio.

Optiamo quindi per aspettare che il cielo si apra del tutto così da compiere un breve giro sul ghiacciaio e ammirare le stupende pozze glaciali che si sono formate. 

Uno dei laghetti glaciali che si sono formati sul ghiacciaio del Konkordiaplatz, tanto belli quanto effimeri

Un bel tramonto e un cielo sereno accompagnano la serata. E lasciano aperte le speranze per domani, ultimo giorno i questo paradiso di ghiaccio e altezze.

Il tramonto dal rifugio, con il Gletscherhorn, il Kranzberg e la Jungfrau che svettano oltre il velo di nuvole basse.

 

 

Giovedì 8: giorno tre

Mi sveglio prima dell’alba. Ormai, sento di aver preso il “fuso orario” delle alte quote, così lo chiamo. Prima che faccia luce, prima dell’aurora, apro un occhio, poi l’altro: nel sacco-letto non riesco più a stare e mi preparo. Intanto il cielo schiarisce, lo so sbirciando dalla finestra appannata. E alla fine raggiungo il punto più panoramico individuato la sera prima. È il momento delle fotografie di inizio giornata. 

L’alba dalla Monchjoch Hutte, sullo sfondo l’acuminata vetta del Gross Fiescherhorn tra le nubi dorate dalla prima luce. 

Oggi pare proprio sia sereno. Una nuvoletta che mi viene incontro si accende d’arancione, mentre me ne sto qua a tremare dal freddo. Tremo e mi arrabbio a pensare che potremmo già essere sulla cresta del Mönch a goderci lo spettacolo. Potremmo, se non fosse per il rifugista. È stato irremovibile, niente da fare: colazione obbligatoria dalle 6 e 30 (che per alpinisti come noi significa quasi mattina inoltrata). Nessuna possibilità di avere un po’ di tè. Irremovibile, nonostante nel rifugio siamo meno di dieci clienti in tutto. 

Firmiamo il libro del rifugio, e specifichiamo la nostra prima destinazione: il Mönch.

Ecco, e come una beffa, finita la colazione, le prime nubi iniziano ad aggredire le vette. C’è poca visibilità e quindi l’unica opzione che ci resta è salire il vicino Mönch (4105 m), che comunque non è certo male visto che fa parte del celeberrimo trittico dell’Oberland; Eiger, Mönch e Jungfrau. Tranne alcune linee molto ardite, il Mönch  non è sciabile e quindi dalla base della cresta sudest procediamo con i ramponi, senza sci. Ci troviamo presto avvolti dalle nubi in salita verso il nulla. Tutto è grigio intorno a noi. Dov’è il nord, il sud, il sopra, il sotto? Più su, a dire il vero, ora non si va. Dovremmo dunque essere sulla cima? «Sì, la cima è questa», ci diciamo. 

Durante la salita verso i 4107 metri del Mönch. Procediamo lungo la cresta sudest abbondantemente innevata, fin quando veniamo inghiottiti dalla nebbia. 

In due ore e mezza siamo di nuovo alla base della cresta e, a quel punto – come una beffa –, il cielo si riapre. Non ci resta che approfittare al volo della situazione favorevole: guadagnare in leggera salita il vicino Mönchjoch per poi scendere dal ghiacciaio dell’Ewigschneefeld e rientrare alla Konkordia Hutte: un bel giro ad anello, non c’è che dire. Il criterio da seguire, lo abbiamo capito, è adattare la tabella di marcia alle condizioni del cielo che si presentano strada facendo. 

In discesa dall’Ewigschneefald, per rientrare alla Konkordia Hutte con il sole che beffardamente ci accompagna dopo le nebbie della mattina. Dinnanzi a noi, i due Fiescherhorn e a destra il Grunhorn, che però dato l’ora non ci arrischiamo a salire. 

Così, abbandoniamo il nostro piano di salire i due Fiescherhorn e di andare alla Finsteraarhorn hutte. Decisione giusta! Rientreremo al nostro campo base scendendo l’immenso ghiacciaio. Giusta, dicevo, perché il meteo di domani ci mostrerà i denti rabbioso: pare ci sia in arrivo un brutta perturbazione. Sarà davvero così? 

Siamo di nuovo alla Konkordia Hutte, il nostro campo base di questa avventura. 

 

 

 

Mercoledì 7: giorno due

L’obiettivo di oggi è la Jungfrau, montagna regina della zona. 

Prima dell’alba siamo in piedi, e dopo una veloce colazione ci prepariamo con tutto il materiale per la lunga giornata.

Con le prime luci dell’alba scendiamo l’infinita scalinata del rifugio Konkordia, per guadagnare il manto frastagliato del ghiacciaio. Ci siamo, pelli e… via! Percorriamo per intero la lunga valle glaciale fino a risalire la ripida spalla est e da qui traversando sotto i pendii del Rottalhorn. Un ultimo sforzo, superata la crepaccia terminale, raggiungiamo sci in spalla la panoramica vetta. 

Siamo arrivati alla spalla della Jungfrau, da quassù il panorama sui ghiacciai è vasto oltre l’immaginario, con la vetta del Mönch e la cresta Ovest dell’Eiger; sullo sfondo la stazione della Jungfrau all’omonimo colle.

I grandi ghiacciai dell’Oberland sono sotto di noi. Da una miriade di solchi vallivi che sembrano onde, spuntano altri quattromila, che chissà se mai saliremo. 

L’ultima parte della salita alla Jungfrau apre la vista sulle cime a sud, con le grandi pareti nord del Gletscherhorn e soprattutto dell’Aletschhorn, sullo sfondo.

Ci viene una voglia di fare, di scalare, di essere là, e poi ancora là. Non sappiamo dove guardare. Sotto di noi, si scorge anche la stazione della Jungfrau, la più alta d’Europa (3454 metri), servita dal famoso trenino rosso che passando sotto, e poi dentro, la parete nord dell’Eiger sale dal paese di Grindelwald o di Wengen. 

Quasi in vetta alla Jungfrau, si sale a piedi, data la pendenza; e sullo sfondo appaiono le cime occidentali dell’Oberland.

Il sole si avvicina sempre più allo Zenit. «Sbrighiamoci a scendere di qui prima che scaldi troppo!» esclamo interrompendo il silenzio. Siamo di poche parole, noialtri. Uno sguardo, un richiamo, un breve commento e ci capiamo al volo. Ecco, ci infiliamo nel couloir orientale, tra due immense seraccate, e prendiamo velocità. 

Lungo la discesa dalla Jungfrau, che nella parte iniziale presenta pendenze sostenute superiori ai 40 gradi.

Poi, con le pelli sotto gli sci, guadagniamo velocemente la stazione, un vero e proprio centro commerciale in alta quota scavato nella montagna. Con l’osservatorio panoramico proteso nel vuoto e le masse di turisti festanti. 

La parte visibile della stazione della Jungfrau (il resto invisibile è scavato nella roccia); in vetta allo sperone roccioso dello Sphinx si trova l’osservatorio panoramico con terrazza.

Arriviamo e, come fossimo l’attrazione più ambita, tutti i turisti ci guardano stupiti. E da dove vengono questi? 

Anche se ci troviamo in cima a un ghiacciaio, a quota 3454, chi è fuori luogo siamo noi, gli alpinisti… bestie rare quassù. 

In effetti, vederci arrivare quassù dal mondo dei ghiacci deve fare un certo effetto. Giapponesi, indiani, americani, argentini e chissà chi altri… tutti, ma proprio tutti, sono arrivati con il trenino, vestiti da turisti, maglioncino, tacchi, borsetta, qualche cravatta di traverso. 

Ancora tra la folla di turisti.

Siamo noi gli oggetti strani, non loro. Siamo come animali delle alte quote. Ed è divertente concederci una foto con una sconosciuta di cui non capisco neppure la provenienza. Click. È fatta, noi uomini dei monti, noi gente dei ghiacci, con la pelle cotta dal sole e le labbra eternamente di carta vetrata. 

Nella galleria di ghiaccio con sculture, all’interno del “centro commerciale” più alto d’Europa.

Click, un sorriso, e ci capiamo al volo. È ora di andare. Questa notte ci attende un nuovo rifugio, che qui chiamano capanne (hutte): la Monchjochhutte. 

Eccoci arrivati ai lussuosi interni del rifugio Monchjochhutte. Il rifugio è raggiungibile grazie a una pista battuta che parte dalla stazione della Jungfrau, ed è un comodo punto di appoggio per le scialpinistiche alle cime circostanti.

 

 

Martedì 6 giugno: giorno uno

A parte dalla soglia di casa, il nostro viaggio – quello vero e proprio, intendo – comincia ai 2215 metri di Fiescheralp, minuscolo paese diffuso abbarbicato sul versante solatio della Valle del Rodano. Abbarbicato, isolato e soprattutto (come Zermatt che gli sta di fronte) non servito da strade! La funivia qui funge da mezzo di trasporto, non solo per turisti, anche per chi dovesse scendere al paese di Fiesch. In questo periodo di bassa stagione le corse sono limitate a quattro al dì: una alla mattina, due verso ora di pranzo (di cui sriusciamo a prendere la seconda) e l’ultima nel pomeriggio. 

La funivia che collega il paese di Fiesch con Fiescheralp è oggi praticamente deserta, in perfetto stile con la nostra avventura solitaria. È  arrivato il momento di incamminarci carichi come sherpa verso la nostra avventura e il ghiacciaio dell'Aletsch

Dalla stazione a monte, sci in spalla e carichi come portatori baltì, ci incamminiamo seguendo la strada sterrata che porta dopo tre chilometri in leggera salita all’imbocco della galleria sotto la Talligrat. 

L’uscita dalla galleria del Talligrat avviene tramite una porticina che apre verso la luce della vallata della Marjela.

Ci buttiamo nel buio, e dopo circa un chilometro, magia!, sbuchiamo nella Valle Marjela. E qui troviamo anche la prima neve. Via con gli sci ai piedi per scendere sul ghiacciaio dell’Aletsch (il più lungo delle Alpi), passando accanto al lago Marjelen ancora semi gelato. 

Lungo i tre chilometri di strada sterrata che da Fiescheralp portano alla galleria del Talligrat.

Il ghiacciaio è già in parte scoperto dal manto nevoso e l’attraversamento della prima parte per guadagnare il centro è come un labirintico tra i crepacci (già adesso ai primi di giugno!). Avanti a zigzag, facendo attenzione sui vari ponti di neve, che portano a bordi di crepaci di ghiaccio vivo. Non proprio il massimo, a dire il vero. 

Nel labirinto dell’Aletschorn, già in parte scoperto.

E così, mentre cerchiamo la via più agevole, vengo inghiottito fino alla cintola da un piccolo crepaccio, rimanendo incastrato con gli sci dove le pareti si restringono. Che spavento! Siamo legati, nessun pericolo reale, ma liberare gli sci non è roba da poco: uno sforzo imprevisto. 

Un piccolo crepaccio mi inghiotte fino alla vita, ma è più la fatica a venirne fuori con gli sci incastrati che il pericolo corso. 

Finalmente siamo al centro della vallata glaciale e risaliamo su pendenza appena percettibile questo bianco accecante, fin  quando, lontanissima, scorgiamo la nostra meta: il rifugio Konkordia.
Più avanziamo e più ci sembra di essere sempre nello stesso punto, solo voltandoci ci rendiamo conto che ci stiamo allontanando. Il sole lancia la sua energia incandescente, e ci sembra di essere in un deserto. 

Risalendo la lingua glaciale dell’Aletschglacier, il ghiacciaio più lungo d’Europa.

Eccoci alla Konkordiaplatz, cuore e punto nodale delle varie vallate glaciali che qui confluiscono (proprio come nell’omonimo circo glaciale sotto il Gasherbrum IV, la Montagna di Luce che domina il Baltoro). Sopra di noi scintilla la costruzione metallica del rifugio. Un tempo si trovava poco sopra la sponda del ghiacciaio, ora, per raggiungere il nostro campo base, bisogna rimontare un tratto innevato dove abbandoniamo gli sci accanto a quelli di chi ci ha preceduti. 

L’infinita scalinata che porta al rifugio Konkordia, arroccato sopra una panoramica bastionata rocciosa

Ora un breve tratto attrezzato e un’infinita e grandiosa scalinata metallica ci portano ai piedi del rifugio, che ha chiuso pochi giorni fa. È il lussuoso locale invernale ad accoglierci con tutti i lussi possibili. Letti in legno, piumoni, una stufa con la legna, pentole, corrente e pure la possibilità di prendere bevande e cucinarsi la pasta con il sugo liofilizzato. Abbiamo prenotato via Internet. Ci è arrivato il codice, che abbiamo composto nel tastierino accanto alla porta. E voilà, l’“Apriti Sesamo” ha funzionato! Questi svizzeri…

Federico Secchi meritata birra al sole calante, necessaria per ripagarci delle fatiche del pomeriggio.

Ci cuciniamo i nostri tortellini e collaboriamo con gli altri alpinisti stranieri per sciogliere la neve. Un ultimo sguardo alle cartine e al meteo andiamo a dormire. A domani, montagne!

Luca “Bubu” e Federico sontuosa cena a base di tortellini portati da casa conclude degnamente la prima giornata. Tra poco sarà l’ora dei sogni. 

 

 

Lunedì 5 giugno: domani si parte

Finsteraarhorn. La prima volta che ho sentito questo nome, pronunciato da un tedesco, rimasi compito. O forse sarebbe più giusto dire “intimorito”. Non lo conoscevo, non sapevo che forma, collocazione, quota, storia avesse. Ma mi aveva già stregato, con la forza che talvolta solo l’irrazionalità può avere. Poi, negli anni, mi è capitato di fotografare il Finsteraarhorn da lontano, illuminato dalla tagliente luce dell’alba. Dovevo salirlo! Purtroppo, ogni primavera, causa rifugi troppo pieni, maltempo, pandemie… il Finsteraarhorn mi è sempre sfuggito.

Giacomo Meneghello, fotografo specializzato nelle attività outdoor, nella fotografia paesaggistica. Autore di questo racconto a puntate.

Trovandosi nel cuore di una delle aree più isolate d’Europa, la logistica di avvicinamento a questa montagna è piuttosto complessa. Dunque, se uno ha l’occasione di entrare in questo catino glaciale ne deve approfittare. D’accordo il Finsteraarhorn, ma anche gli altri quattromila saranno lì che mi chiamano. In più, salire le varie cime mi permetterà di cogliere prospettive d’insieme le più svariate (ah, dimenticavo, sono un fotografo professionista di montagna, dunque capirete che in quella sorta di mini Karakorum alpino non potrò prendermela troppo comoda). Nasce da qui quella che ho pensato di chiamare “Operazione biliardo”. Immaginando il catino glaciale dell’Aletsch come un gigantesco anfiteatro con le sue vette principali a rappresentarne le buche marginali da raggiungere.

Si studia l'itinerario

Siamo una squadra di amici di lunga data. Beh, definirla squadra è un po’ troppo: siamo in tre. 

Federico Secchi è guida alpina e maestro di sci, ha 31 anni e lavora in particolare nei gruppi del Bernina e dell’Ortles-Cevedale; ha già collezionato alcune spedizioni in Patagonia, India e Nepal. Tra i suoi sogni, tornare con gli sci sugli ottomila e in generale sulle grandi montagne del nostro pianeta.

Il programma che ci diamo – e di cui da domani uscirà il racconto giorno dopo giorno in questo spazio de “Lo Scarpone” – è più o meno così. Dalla Valle del Rodano, saliremo ai 2215 metri del paese di Fiescheralp utilizzando la funivia, che là funge da unico mezzo di trasporto vista l’assenza di strade, e poi ci metteremo in moto lungo un sentiero in leggera salita fino a una galleria che permette di raggiungere la valle più a nord, dove sorgono i laghi e la diga del Marjelen e da qui, in discesa, atterreremo sull’immenso ghiacciaio dell’Aletsch. 

Luca Salvadori ma tutti lo chiamano “Bubu”. Ha 33 anni e vive da sempre in Valfurva. Anche lui è guida alpina, ci mette l’anima in questo lavoro, in tutte le stagioni. Ha viaggiato per arrampicare in America, Grecia e Marocco sognando a breve Patagonia e Himalaya.

Lo saliremo per intero, questo bestione da record, fino al Konkordiaplatz, l’immenso pianoro di ghiaccio (che prende il nome dall’altrettanto immensa piazza di Parigi, così come il circo glaciale in cima al Baltoro, vista K2) dove confluiscono varie lingue glaciali e che funge da cuore. Un centinaio di metri più in alto, tra le rocce, sorge il Konkordiahutte che con il suo locale invernale fungerà per noi da campo base principale per le varie ascensioni ai Quattromila circostanti. Meteo, situazioni e condizioni determineranno i nostri spostamenti, con la possibilità di sfruttare anche i rifugi limitrofi della Finsteraarhorn hutte e Monchsjoch hutte. Il rientro avverrà per il medesimo itinerario, verso Fiescheralp. Non vediamo l’ora di partire. A domani!

Il materiale, prima della partenza