Dino Buzzati nel ricordo della Sezione del Cai di Belluno

«Un vero figlio della propria terra» e «uno scrittore da Premio Nobel». Con queste parole Giuliano Dal Mas ricorda lo scrittore, giornalista, pittore e alpinista bellunese, all'indomani delle ricorrenze per il cinquantesimo anniversario della scomparsa
Dino Buzzati. Anno di nascita 1908. Data della sua morte 1972. Bellunese. Nel 2022 sono ricorsi i 50 anni della sua morte. Scrittore, giornalista, pittore, alpinista. Ma noi vogliamo aggiungere: un vero figlio della sua terra. Pur da Milano, dalla Milano ove egli svolse la sua attività lavorativa, Buzzati ha spesso colto l’occasione per ricordarsi della sua Belluno. Non raramente dalle pagine del suo Corriere, il Corriere della Sera di quel tempo, prende persino posizione contro certe decisioni della sua città, come quando la stessa manifesta l’intenzione di modificare l’assetto urbanistico di Piazza Campedel, la Piazza storica del capoluogo.
Dino Buzzati
Dino Buzzati

Amore vero per la propria terra

Buzzati non ha mai avuto il coraggio tipico dei trentini o dei sud-tirolesi di dire che la propria terra è la più bella. Le sue riflessioni sono sempre state più caute. Ma in esse si è sempre avvertito comunque l’amore vero.
«Esistono da noi valli che non ho mai visto da nessuna altra parte. Identiche a paesaggi di certe vecchie stampe del romanticismo che a vederle si pensava: ma è tutto falso, posti come questo non esistono. Invece esistono: con la stessa solitudine, gli stessi inverosimili dirupi mezzo nascosti da alberi e cespugli pencolanti sull’abisso».
Ma le Dolomiti in realtà cosa sono?
Per Buzzati, «per chi guarda dal fondo delle valli, che colore risulta? È bianco? Giallo? Grigio? Madreperla? È color cenere? È riflesso d’argento? È il pallore dei morti? È l’incarnato delle rose? Sono pietre o sono nuvole? Sono vere oppure è un sogno?».
Il suo è un urlo silenzioso che di tanto in tanto prorompe dalle pagine del Corriere o comunque da qualche altro foglio cui collabora e riferendosi alla Schiara che a monte del torrente Ardo sovrasta Belluno, scrive:
«Quando ero ragazzo lo Schiara mi faceva una specie di tenerezza, perfino di pena, proprio perché avrei voluto essere ancora più orgoglioso di lui e il mondo non me lo permetteva. Ci tenevo moltissimo che lo Schiara fosse un’autentica dolomite, il fatto che il posto dove ero nato si trovasse ai piedi di una autentica dolomite mi pareva che dovesse valorizzarlo enormemente in tutti i sensi, ma il mondo in certe cose è cretino e non c’è verso di distaccarlo dai luoghi comuni».
Il suo era comunque ancora un “urlo” trattenuto, sussurrato. A quel tempo, per la gente comune le Dolomiti si trovavano ancora e soltanto in Alto Adige e nel Trentino. Per gentile concessione, ma solo per gentile concessione, anche a Cortina. Ma Cortina era pur sempre considerata un’appendice del Sud Tirolo. E se Civetta e Pelmo erano anch’esse da considerarsi a fatica Dolomiti, lo sostenevano perbacco gli esperti, figurarsi se la pallida Schiara poteva compiacersi di poter dire di avere anch’essa i giusti requisiti.

Il ricordo nei rifugi del Cai Belluno

Nel 2022, come si è già anticipato, sono ricorsi e si sono ricordati i 50 anni dalla sua morte. Un po' dovunque, a Milano, nel Veneto, nel Bellunese. E anche nei rifugi che la Sezione del Cai di Belluno gestisce, al Rifugio Settimo Alpini e al Bianchet nella Schiara, al Rifugio Tissi in Civetta, si è voluto ricordare in qualche modo la sua scomparsa. Attraverso delle relazioni rievocative accompagnate dalle letture di alcuni suoi articoli sulla montagna: “Non parlava inutilmente il vecchio generale degli Alpini”, “Direttissime sulla Civetta” e “Le aquile” dei Feruch, pagine altrimenti disperse nel suo Corriere, ma ora raccolte ne “I fuori legge della montagna”. I suoi testi, anche quando non cita direttamente Belluno, sono ricchi delle atmosfere del suo luogo di origine e tante delle sue descrizioni affondano nel territorio: “Barnabo delle montagne”, “Il deserto dei Tartari” ne sono degli esempi. Sono tanti i bellunesi che sono andati a vivere cercando lavoro lontani da Belluno e che ben presto si scordano del loro luogo di origine, quasi che essi soffrano di non essere nati in un luogo più famoso. Ma i loro nomi e cognomi sono sempre là a ricordare la loro provenienza: i Monti, i Tremonti, ecc. In Buzzati, anche se non viene nominata, Belluno è pure spesso presente coi suoi silenzi, coi suoi boschi, nella descrizione dei suoi monti, come si è peraltro detto. Belluno ha fatto bene a ricordare questo suo figlio. Ciò che egli dice deve ritenersi ancora valido, attuale. Il territorio bellunese nella sua globalità si è salvato. È sempre difficile dire se sia stato merito dell’uomo, o forse della sua terra che ha saputo difendersi da sola. In molti casi, a dire il vero, sono mancati i soldi per impoverirla.
Al Rifugio Bianchet
Commemorazione di Buzzati al Rifugio Bianchet © Danilo Isotton

L'anima ecologica mescolata alla fantasia

Il Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi e Dolomiti Patrimonio dell’Umanità non sono comunque regali venuti da fuori, ma nati all’interno della comunità bellunese, da chi ci vive e ha ritenuto opportuno preservare la più grande risorsa del territorio, la sua bellezza. Se Dino Buzzati avesse fatto in tempo a vedere queste conquiste, certamente ne avrebbe gioito. Buzzati è stato spesso difensore della bellezza del territorio in cui è nato, anche se talvolta da anziano ha dovuto cedere di fronte al valore di qualche amicizia, a qualche avanzamento della modernità. Ma dentro di lui lo scrittore è rimasto quale fanciullo candido, immacolato, protetto dal mistero, da quel mondo che solo lui era in grado di vedere, reale o irreale che esso fosse. Come Benvenuto, il ragazzino protagonista del romanzo “Il segreto del Bosco Vecchio”, riesce a sopravvivere al pericolo di morte e a salvare l’integrità del bosco e dei suoi fantastici abitanti. “Il segreto del Bosco Vecchio” è il racconto in cui Buzzati, più che in altri, esprime la sua anima ecologica e la mescola alla fantasia. La fantasia in ogni caso rimane al servizio del racconto. Forse è vero che Benvenuto, invecchiando, dimenticherà e cesserà di parlare con il mondo della natura. Ma anche se Buzzati non lo dice, non mancheranno altri Benvenuti con la loro innocenza a riprendere quel colloquio.

Uno scrittore da Premio Nobel

Nessuno più di lui avrebbe meritato il Premio Nobel. Ne siamo certi. Lo meritava per il suo candore e il senso di mistero che lo accompagnavano abitualmente, per la sfrenata fantasia, per la pazienza delle lunghe attese. Per il suo modo di scrivere. E sono i tanti suoi lettori, in patria e all’estero che ancora resistono all’avvento dell’iperrealismo, a rappresentare quel premio, a tributarglielo. La sua vita continua nei suoi scritti, anche in quelli che la cultura amica, dopo la sua morte, ha voluto recuperare da giornali, riviste. Sempre nuovo, sempre sorprendente nelle sue pagine apparentemente antiche, ma mai davvero obsolete, mai superate. Non so dire se Dino Buzzati avesse la consapevolezza di essere davvero bravo, se sia mai riuscito ad intuire che la sua diversità fosse anche un valore aggiunto. Di fatto la sua timidezza vera e non di facciata, non fu mai del tutto vinta. Ma nel corso del 2022 è stata proprio la montagna del cuore, la Schiara, o meglio lo Schiara come lui la chiamava, a dirglielo per prima. Una montagna diventata consapevolmente regina accanto a Pelmo, Civetta e Tre Cime.