«Rispetto al cambiamento climatico, il capriolo non è una specie perdente ma vincente», spiega
Francesca Cagnacci, ricercatrice presso la Fondazione trentina
Edmund Mach. A causa dell'innalzamento delle temperature, i caprioli si spostano e risiedono in modo stabile a quote più elevate, senza la necessità di migrare da un luogo all’altro. Infatti il limite nevoso si è spostato più in alto e i caprioli,
non abituati ad alimentarsi in ambienti nevosi, decidono di occupare quote ancora più elevate.
Una fotografia delle mutazioni comportamentali dei caprioli
Il progetto di ricerca della fondazione Mach nasce non solo per studiare il comportamento delle specie di caprioli che vivono nel Parco Adamello Brenta e nelle zone circostanti nelle valli Rendena e Giudicarie, ma anche per fornire
una fotografia precisa e accurata delle possibili mutazioni comportamentali di queste specie.
Pubblicato sulla rivista
Scientific Reports, lo studio è stato realizzato con la collaborazione degli esperti di MeteoTrentino che hanno condiviso con i ricercatori
proiezioni climatiche delle precipitazioni in quei territori. Il tutto combinato con i dati estratti dai collari gps indossati da alcuni esemplari di caprioli.
«I colleghi climatologi hanno valutato la variazione delle temperature invernali insieme alla modificazione del limite della neve al suolo», spiega Cagnacci. Allo stesso tempo,
«tra gli ungulati il capriolo è quello che meno sopravvive sulla neve. Gli zoccoli sono adatti al salto, ma non a camminare sulla neve. Questa specie non accumula grandi quantità di grasso, di conseguenza ha bisogno di trovare continuamente cibo. Infine, in quota c’è una presenza più elevata di erbette fresche», continua.
I caprioli sono animali vincenti, che non soccombono rispetto al cambiamento climatico. Ovviamente la loro presenza in altri ambienti produce delle modificazioni all’equilibrio circostante.
«Si pensi alle deiezioni, che possono influenzare o meno la crescita di determinate erbe spontanee piuttosto che altre», puntualizza ancora Cagnacci.
Il ruolo della memoria
La scelta di un luogo adatto dove stabilirsi, per una specie animale, è una questione legata al cibo e alle condizioni ottimali per riprodursi. Nel caso dei caprioli,
entra in gioco la memoria. «Fino ad oggi non era chiaro se a guidare la scelta di nutrimento nei grandi mammiferi fosse la memoria oppure la percezione sensoriale della presenza di cibo», scrive la fondazione Edmund Mach. I risultati di
uno studio realizzato dalla stessa fondazione e condotto dal ricercatore statunitense Nathan Ranc, insieme a Francesca Cagnacci, Federico Ossi e Paul Moorcroft, evidenziano il ruolo della memoria negli spostamenti finalizzati alla ricerca di cibo.
La ricerca è stata condotta con l’ausilio di radiocollari gps indossati da 18 caprioli che vivono nell’area della val di Cembra, in Trentino. Qui, gli esemplari usufruiscono di una serie di mangiatoie, riempite di mais. In fasi alterne, i ricercatori hanno ostruito o permesso l’accesso ai siti. Un modello matematico ha dimostrato come durante le due settimane di chiusura i caprioli abbiano passato solo il 5% del proprio tempo presso i siti di foraggiamento. Nelle due settimane precedenti la chiusura invece, i caprioli restavano nelle immediate vicinanze delle mangiatoie
per il 31% del proprio tempo.
«Se le visite ai siti di foraggiamento fossero state guidate dalla percezione della presenza di cibo, rimasta inalterata durante la chiusura, non sarebbe stato riscontrato il netto calo di visite osservato, che indica un processo cognitivo nelle decisioni di ricerca del nutrimento basato sulla memoria», fanno sapere i ricercatori.
«Insomma, sembrerebbe che i caprioli usino la memoria a breve termine per processi cognitivi, che influenzano le loro scelte», spiega Cagnacci.
«I caprioli sono dei vincitori nella lotta al cambiamento climatico, ma non tutte le specie sono in grado di adattarsi ai suoi effetti. Ad esempio, nel periodo estivo, con l’innalzamento di temperatura, gli stambecchi devono spostarsi di quota e cercare il nutrimento, più in alto. Il problema è che nelle Alpi orientali, ad alta quota. il terreno è prevalentemente roccioso. Di conseguenza, gli stambecchi rischiano di non trovare più il cibo e quindi di non sopravvivere», afferma Cagnacci che ha lavorato ad uno studio che verrà pubblicato nei prossimi giorni.