L’8 agosto 1786 è ricordato in tutta Europa per la prima salita del Monte Bianco, che a lungo i francesi hanno attribuito a sé stessi ma che in realtà apparteneva al Regno di Sardegna. Montagna e montanari. L’iconografia della conquista tramanda il combattivo Balmat che impugna un lungo bastone dalla punta ferrata e, fissata alla cintura, porta un’accetta dal manico corto. Anche quell’immagine è falsa perché Balmat aveva solo il bastone, come Paccard, e quindi il cacciatore non poteva gradinare a colpi d’ascia il ripido pendio che porta alla cresta sommitale. In ogni caso fu il dottore ad accollarsi il compito.
Avevano bivaccato assai in basso, a 2329 metri, circa duemilacinquecento metri sotto la cima. Prima di addormentarsi il dottor Paccard aveva “segnato” gli strumenti per le misurazioni barometriche e poi s’era infilato sotto la coperta di lana. Balmat l’aveva imitato. All’alba dell’8 agosto il cielo era pulito, anche se faceva abbastanza caldo, sette gradi centigradi, e soffiava un po’ di vento da nord. I due chamoniards erano partiti lenti ma risoluti e alle cinque del mattino erano ai piedi della Jonction, un nodo del ghiacciaio straziato dai crepacci. Una brutta gatta da pelare. Il dottore e il cacciatore non avevano scale ed erano senza corda. La neve era molle e i ponti inaffidabili, quindi avevano scavalcato i buchi affiancando i due bastoni e strisciandoci sopra come gli equilibristi. Se n’era andato un sacco di tempo e a mezzogiorno erano ancora sotto il Petit Plateau, dove si erano fermati a mangiare e riposare. Una farfalla e alcuni insetti giacevano morti sulla neve; il sole era cocente; Balmat esitava e voleva scendere a valle dalla figlia ammalata.
“Raggiunsero il Grand Plateau – ricostruiscono gli storici britannici Graham Brown e De Beer – dove nessuno era mai entrato prima. L’ora era veramente troppo avanzata e ancora molto restava da fare… La crosta di neve troppo leggera rese la traversata del piano un’impresa lunga e faticosa per due uomini che portavano pesi ingombranti. Quando il dottor Paccard si diresse, come deve aver fatto, verso sinistra, Balmat si accorse per la prima volta che la via prescelta era sui pendii, verso la cresta nord est del Monte Bianco. Ciò dovette scuoterlo di nuovo…”
Il dottore riparte per primo tagliando il pendio diagonalmente, da un punto in basso a destra a un altro in alto a sinistra, su una pendenza media che calcola di 32 gradi. Talvolta si ferma e scava un gradino nel ghiaccio con la punta del bastone ferrato. Sopra il precipizio dei Rochers Rouges la via di Paccard si fa esposta e vertiginosa, specie considerando che i due pionieri sono slegati e non possono proteggersi da un’eventuale caduta. Eppure salgono senza sosta verso la cresta e alle cinque dopo mezzogiorno vengono avvistati sulla calotta sommitale del Monte Bianco. Restano da scalare solo 360 metri di dislivello, e non sembrano neanche difficili, ma si è alzato il vento, è molto tardi e bisogna trovare un posto per bivaccare. Il dottore e il cacciatore cercano invano, non c’è nessun posto adatto sulla cresta. Allora Paccard mostra il suo coraggio: “Andiamo in vetta questa sera!” grida. È la scelta decisiva, che gli consentirà di tornare entro mezzanotte al punto dal quale sono partiti.