Claude Barbier, rocciatore fortissimo e dall'anima fragile

Monica Malfatti ha ripercorso la sua vita nel libro Dimmi che mi ami. «Era scontroso, incline al litigio, ma capace di grandi slanci. La polemica con Messner lasciò il segno in lui»
Claudio Barbier © Archivio Claudio Barbier

Negli anni '60 ha compiuto grandi imprese in Dolomiti, ma Claude Barbier (il suo amore per l'Italia era tale che si faceva chiamare Claudio) era anche un personaggio schivo, dal carattere difficile, che rendeva note solo ai pochi amici le proprie salite. Oggi è quasi dimenticato: quasi, appunto, perché proprio in questi giorni è uscito Dimmi che mi ami, un libro in cui Monica Malfatti ripercorre la storia - troppo breve- dell'alpinista belga, nato nel 1938 e morto nel 1977, a nemmeno 40 anni.

 

L'autrice ci ha aiutato a ricostruire la figura di Claude, che ha conosciuto innanzitutto attraverso le parole di Anna Lauwaert, la sua ultima fidanzata. «Anni fa ho letto La via del drago, che racconta dei due, tre anni che hanno passato insieme - ci racconta Monica-. Il titolo riprende il nome di una via che Claudio aveva aperto in risposta alla polemica che Messner aveva sollevato per la via degli strapiombi. Lo stesso Barbier aveva aperto quell'itinerario in artificiale, in Ambiez, con Hasse e Steinkötter. Lo scalatore altoatesino sostenne che così si uccideva il drago, nel senso che si metteva la parola fine all'impossibile. Claudio ne rimase molto scosso, tanto che due anni dopo aveva appunto aperto questa difficile via in libera. Una via che mio padre ha poi ripetuto, confermandomi che ci sono da superare dei traversi paurosi. Sono stata incuriosita da quel suo bisogno irrisolto di amore e di stima che non riusciva a trovare soluzione». Messner e Barbier avevano anche scalato insieme, ma due caratteri più agli opposti sarebbero difficili da immaginare. Estroverso e volto alla divulgazione del proprio pensiero Reinhold, introverso e capace di comunicare davvero con pochi Claudio. «Se non lo avesse detto a Marino Stenico, di cui aveva grande stima, oggi non sapremmo del suo concatenamento alle Tre Cime di Lavaredo»

 

Timido o forse insicuro in una vita quotidiana che in una vera e propria dimensione quotidiana in fondo non aveva mai vissuto, Barbier mostrava una padronanza assoluta sulla roccia, estremizzata in solitarie di grande valore. L’elenco delle sue ascensioni senza compagni, nei primi anni '60, include la Via Andrich a Punta Civetta, la Carlesso alla Torre di Valgrande, la Comici alla Civetta e la Ratti alla Torre Venezia. Ma il capolavoro di Barbier è da molti considerato appunto il concatenamento delle cinque pareti nord di Lavaredo (Cassin a Cima Ovest, Comici a Cima Grande, Preuss alla Piccolissima, Dülfer alla Punta di Frida, Innerkofler alla Cima Piccola) in poco più di 7 ore complessive, nel 1961.

 

Barbier era noto per un carattere difficile, che lo faceva litigare spesso con i suoi compagni – spesso occasionali - di cordata. «All'inizio mi sono chiesta da cosa fosse generata questa sorta di chiusura. Ho raccolto testimonianze, molti frammenti di racconti e facendo un po' la media sono giunta alla conclusione che era dilaniato tra due poli: era geloso della sua intimità, scontroso, chiuso. Ma anche capace di grandi slanci che lo facevano amare. L'amicizia con Almo Giambisi per esempio nasce da un litigio. Claudio era rimasto una settimana ad aspettare di andare a scalare con Almo, che però faceva il rifugista e non aveva a disposizione tutto il tempo che voleva. Quando finalmente si liberò, venne a piovere e Barbier era furioso. Prese un sasso per tirarglielo, ma ovviamente non era colpa di Giambisi se aveva fatto brutto tempo». Claude non era nuovo a litigi per futili motivi. «Con Anna abbiamo riflettuto molto su questi scatti di rabbia immotivati, negli ultimi anni non riusciva più a fare quello che faceva prima, la sua attività era andata in calando». Aveva portato Anna a fare alcune delle sue vie, forse in un tentativo di ripercorrere la propria storia personale e aprirsi. «Probabilmente aveva anche paura di invecchiare, con la sua compagna avevano parlato di aprire una libreria, perché entrambi erano appassionati di letteratura. Ma anche quella proposta l'aveva vissuta come una gabbia».

 

A Barbier è stato dedicato anche il pilastro meridionale del Sass Maor (salito da Leviti, Milan e Gadenz nel 1978). Se n'era andato solo un anno prima, per un banale incidente in falesia «dove si è lasciato andare. In termini di personalità e vissuto lo vedo vicino ad alpinisti come Gary Hamming o Giampiero Motti. Negli anni è venuto fuori, sempre grazie a Anna, che nel suo passato c'erano ombre pesanti. Era cresciuto in un collegio dove c'erano stati degli abusi sessuali di preti su adolescenti». Rimane il dubbio che forse poteva avere vissuto qualcosa del genere, è certo invece che la sua sofferenza era tangibile e concreta. È bello però anche ricordarlo per i suoi momenti di grande allegria: «Claudio cantava sempre. In sosta, sulla cima, nel tragitto che portava all’attacco delle vie». Giambisi lo rammenta così ed è forse il modo migliore per ricordarlo, insieme a grandi imprese alpinistiche, di cui vale la pena parlare ancora.