La crisi dello sci: un rapporto della Corte dei Conti francese

L'organo che vigila sui conti pubblici in Francia ha pubblicato un interessante rapporto sulla crisi del modello sciistico transalpino. L'occasione per un confronto con la situazione italiana.

All’inizio di febbraio, la Corte dei Conti francese ha pubblicato un rapporto pubblico tematico intitolato “Le stazioni di montagna di fronte al cambiamento climatico”. Un documento corposo che fotografa lo stato di profonda crisi in cui si trovano i comprensori sciistici transalpini allo stato attuale e in una prospettiva futura segnata dall’aumento delle temperature medie e dalla diminuzione delle precipitazioni nevose. Se, finora, il modello di sviluppo del turismo della neve veniva criticato prevalentemente dal punto di vista ambientale e sociale, il lavoro della Cour des comptes ne sottolinea soprattutto l’inadeguatezza su base economica portando a supporto una grandissima base di dati e analisi, nonché di controlli finanziari su 42 società di gestione. 

Ma perché il principale organo di controllo sulle finanze della repubblica entra nel merito di un settore così specifico? Fin dagli anni ’70, lo stato francese ha contribuito direttamente all’economia dello sci attraverso i plan neige che prevedevano un coinvolgimento diretto dell’amministrazione pubblica, a fianco delle imprese private, negli investimenti necessari per l’avvio delle principali stazioni di montagna d’oltralpe. Un modello che ancora oggi vede gli enti locali, in primo luogo i comuni, coinvolti nella gestione e nel sostegno di un settore che rappresenta 1,6 miliardi di euro e complessivamente il 22,4% dei pernottamenti turistici nazionali. Secondo l’analisi, con 53,9 milioni di giornate/sciatore, la Francia è la seconda destinazione al mondo, dopo gli Stati Uniti, per il turismo sciistico. 

Alterazione del motore di crescita delle stazioni sciistiche all'inizio del XXI secolo. © Cour des Comptes

Il riscaldamento globale scioglie le basi economiche dello sci

Eppure, come titola e illustra il primo capitolo del rapporto, il modello economico dello sci francese si sta sgonfiando in particolare a partire dalla fine degli anni 2000 quando ha iniziato a diminuire il flusso di turisti sciatori, i bilanci delle società di gestione degli impianti sono diventati più fragili e il parco immobiliare di ospitalità turistica si è dimostrato sempre più vecchio e inadatto. Alla base di questo processo, gli effetti sempre più visibili – soprattutto in montagna – del cambiamento climatico che ha incrementato le spese per affrontare l’aumento delle temperature e la diminuzione delle nevicate, ha creato disaffezione nel pubblico verso un’attività che dipende direttamente dalla presenza al suolo della neve e messo in evidenza l’inadeguatezza di un’offerta turistica fondata principalmente su seconde case energivore e sottoutilizzate.

Evoluzione del numero di giornate/sciatori in Francia. © Cour des Comptes

Misurare la vulnerabilità del modello sciistico

In relazione alle prospettive future di tenuta delle stazioni sciistiche di fronte alla minaccia del riscaldamento globale, il rapporto della Corte dei Conti elabora un complesso modello di vulnerabilità che incrocia i dati scientifici sull’aumento delle temperature medie, anche nella prospettiva futura di un trentennio, con le condizioni finanziarie degli enti locali e il peso socioeconomico dei territori su cui insistono i comprensori, comprensivo dell’impatto di un’eventuale chiusura. Il risultato mostra che le stazioni più solide sono quelle di grandi dimensioni, situate nelle Alpi settentrionali, mentre nelle Alpi meridionali la combinazione degli effetti più negativi dell’evoluzione climatica uniti a un minore peso economico delle comunità locali aumenta drasticamente la tenuta economica del sistema. 

Per dare un’idea dell’approfondimento con cui sono stati effettuati gli studi, nel documento vengono considerati anche i danni finanziari provocati dallo scioglimento del permafrost alle alte quote che costringerà a una sostanziale ristrutturazione di numerosi impianti costruiti su terreni che si stanno letteralmente sgretolando a causa delle temperature sempre più elevate. Uno scenario che ha iniziato a manifestarsi solo da pochi anni e in contesti ancora limitati ma che introduce in chiave futura un elevato tasso di rischio per la sicurezza e per le casse dei comprensori. 

Evoluzione delle temperature medie annuali nelle Alpi francesi. © Cour des Comptes

Le risposte inadeguate alla crisi

La relazione prosegue la sua disanima analizzando le misure di adattamento alla crisi da parte dei portatori di interesse coinvolti nell’economia sciistica e ne traccia un quadro desolante. Oltre alle misure di corto respiro, adottate soprattutto dopo la pandemia, di un deciso incremento nei prezzi degli skipass per arginare il deficit economico di uscite in costante aumento, sembra che le uniche forme di investimento considerate siano il potenziamento dei sistemi di innevamento artificiale e la costruzione di nuovi impianti per realizzare grandi stazioni collegando tra loro comprensori più piccoli. 

In assoluto, si sottolinea il rischio di indebitamento per le amministrazioni pubbliche che affrontano importanti investimenti fondati esclusivamente su una previsione ormai superata di aumento dei flussi turistici. Come per la produzione sintetica di neve che viene definita sempre più necessaria – e impattante sui prelievi idrici – per garantire una redditività delle stazioni, ponendo al contempo l’accento sull’opportunità di concentrare gli investimenti soltanto nei territori con prospettive di sopravvivenza a lungo termine in considerazione dell’aumento dei costi necessario per fronteggiare la riduzione delle nevicate. Oppure nel caso della realizzazione di nuovi impianti i cui costi vengono giustificati con la costruzione di ulteriori strutture di accoglienza turistica. Emblematico il caso del comune di Albiez-Montrond che conta di installare un collegamento a fune con la stazione di Les Karrellis finanziando i 16 milioni di € necessari con l’edificazione di 1100 nuovi posti letto senza alcuno studio di fattibilità, né previsioni di incremento dei flussi turistici. 

L’aspetto che la Corte dei Conti sottolinea con maggiore forza è la mancanza di coordinamento a livello nazionale sia delle misure di mitigazione dei cambiamenti climatici, sia delle strategie di sviluppo e investimento in chiave futura. Date le sue prerogative di controllo sulla spesa pubblica e considerato il modello economico fortemente sostenuto dagli enti locali, l’organo transalpino denuncia il rischio di eccessiva concorrenza da parte delle singole stazioni sciistiche con conseguente ulteriore polverizzazione della base di sciatori già in forte declino. Parallelamente viene ribadita l’assenza di strategie volte alla diversificazione dell’offerta turistica per ridurre la dipendenza dalla neve. 

Evoluzione del numero di dipartimenti considerati nell'inchiesta e interessati da un'allerta siccità. © Cour des Comptes

Un confronto con l’Italia

Premettendo che un’analisi approfondita e completa come quella della Corte dei Conti francese non è disponibile a proposito della realtà italiana, è possibile proporre qualche paragone tra i dati presentati nel report transalpino e qualche numero reperibile sulla realtà nostrana. 

Innanzitutto, quanti sono i comprensori sciistici? L’unico confronto verosimile che siamo in grado di proporre è sulla base dei numeri forniti dal sito skiresort.it che dichiara 287 stazioni per 5.782 km di piste in Italia contro 248 stazioni per 10.120 km di piste in Francia. 

Veniamo al fatturato delle società di gestione di impianti di risalita. Nel documento della Cour des Comptes viene stimato a livello nazionale intorno agli 1,6 miliardi di euro, con una ricaduta – di cui l’organo francese stesso contesta la validità – moltiplicata per 6 sull’indotto dell’economia locale. Da noi, la cifra dichiarata da un organo di parte come l’Associazione Nazionale Esercenti Funiviari (ANEF Italia) varia tra i 1,2 e gli 1,5 miliardi di euro a seconda delle occasioni con un indotto ben superiore, pari a 8 miliardi, come viene affermato nel Manifesto per la Montagna pubblicato nel settembre 2022. 

L’ultimo raffronto che possiamo portare è relativo alle modalità di sostegno economico che l’amministrazione pubblica fornisce all’economia dello sci. In Francia gli enti locali sono direttamente implicati nella gestione dei comprensori oppure contribuiscono agli investimenti di società private di impianti le quali continuano a realizzare utili e dividendi per i loro soci. Ma tutto ciò avviene all’interno di un quadro istituzionalizzato dalla cosiddetta “loi montagne”, provvedimento legislativo approvato dal Parlamento francese nel 1985. In Italia, la contribuzione pubblica avviene con modalità simili, ma in un contesto di sostanziale assenza normativa. Le Regioni e Province a statuto autonomo, per esempio, hanno una partecipazione diretta nelle società di gestione dei comprensori sciistici, mentre altrove si trovano forme più indirette come il finanziamento per la costruzione o il rinnovamento di nuovi impianti di risalita o per la produzione di neve artificiale da parte dei Comuni, delle Regioni e, recentemente, del Governo. 

In conclusione, se la situazione delineata dalla Corte dei Conti per l’economia sciistica francese è molto negativa, in Italia è sicuramente peggio. Innanzitutto perché il modello finanziario nostrano è assai più debole con un numero maggiore di stazioni che gestiscono quasi la metà dei chilometri di pista e si spartiscono una base inferiore di sciatori. Con l’aggravante di un contesto meteorologico, lungo il versante meridionale delle Alpi, dove gli effetti dei cambiamenti climatici sono maggiormente sensibili. Nel frattempo, in assenza di strategie e analisi complessive, prosegue la politica di stanziamenti e contributi pubblici a favore dello sci. 

Cannoni da neve in azione © Arch. Simone Bobbio