31.07.2023 - - - ambiente storia escursionismo alpinismo
Da qualche anno a questa parte è esplosa la moda dei bivacchi. Le strutture tradizionalmente costruite in montagna come appoggio per alpinisti impegnati in ascensioni particolarmente lunghe in zone remote stanno sempre più diventando punto di arrivo per una frequentazione interessata a vivere un’esperienza di isolamento con pernottamento in scenari d’alta quota di rara bellezza. D’altronde, a partire dall’autunno del 2011 quando nel massiccio del Monte Bianco venne installata l’avveniristica struttura rinnovata del Bivacco Gervasutti, è cambiato molto anche il paradigma estetico e costruttivo con l’edificazione di nuovi ricoveri non gestiti particolarmente accoglienti e funzionali in vari angoli dell’arco alpino.
Ma, come sempre accade di fronte a fenomeni inediti, è necessaria una riflessione sulle ricadute di una tendenza positiva, che spinge sempre più appassionati alla riscoperta di una montagna minore, insieme agli aspetti negativi come il sovraffollamento di certe aree con conseguente aumento dell’impatto, anche igienico, sull’ambiente circostante e l’insorgere di problematiche di sicurezza quando l’attrattiva di un luogo richiama persone senza la necessaria preparazione. Non a caso, si sono moltiplicati gli interventi di soccorso rivolti a frequentatori di bivacco inesperti: negli ultimi mesi, solo in Piemonte, le squadre del Soccorso Alpino sono intervenute in due occasioni, di notte, per recuperare comitive rimaste bloccate nel tentativo di raggiungere il Bivacco Beltrando in Val Soana e il Bivacco Salvasera in Val Pellice: due belle strutture recentemente inaugurate che effettivamente invitano a trascorrere la notte in luoghi straordinari.
Ne abbiamo parlato con Riccardo Giacomelli, presidente della Struttura Operativa Rifugi e Opere Alpine del Club Alpino Italiano.
Dal punto di vista di chi si occupa di rifugi e bivacchi nel Cai, qual è la percezione di questo nuovo fenomeno?
«Abbiamo senz’altro registrato un notevole incremento nella frequentazione dei bivacchi tra le nostre montagne. Penso sia una conseguenza della pandemia: ha portato in montagna tante nuove persone che hanno riscoperto il turismo di prossimità e il desiderio di vivere esperienze all’aria aperta. Nel periodo delle limitazioni, con i rifugi costretti a diminuire la capienza per rispettare il distanziamento, i bivacchi sono diventati un’alternativa concreta per chi voleva frequentare l’alta quota. Oggi, quei luoghi mantengono un’elevata attrattiva perché sorgono in luoghi molto panoramici dove si può godere di paesaggi straordinari e, elemento da non sottovalutare, raccontare esperienze esclusive con foto mozzafiato sui social».
Come si sta attrezzando il Cai per interpretare questo cambiamento dei tempi e delle abitudini di chi frequenta la montagna?
«Stiamo lavorando alla creazione di una nuova tipologia di bivacco standardizzato che possa servire alle sezioni per sostituire le strutture vetuste. Negli anni ’20 del Novecento era nato il modello Ravelli, poi sostituito nel secondo Dopoguerra dal modello Apollonio che vide una grande diffusione per soddisfare l’aumento di frequentatori della montagna nel periodo del cosiddetto alpinismo sociale. Abbiamo attualmente un patrimonio di circa 280 bivacchi per un totale di oltre 2000 posti letto che va rinnovato per venire incontro ai cambiamenti di gusto degli utilizzatori. Pur nella consapevolezza di conservare lo stile essenziale e sobrio che contraddistingue la missione del Cai e senza moltiplicare il numero di nuove strutture».
Ormai sono anche numerosi i nuovi bivacchi privati che vengono eretti in montagna, spesso per una finalità più memorialistica, che alpinistica. Come vi ponete al riguardo?
«È una questione che mi sollecita domande e dubbi, ma a cui non so dare risposte. Capisco l’esigenza di costruire un nuovo bivacco, bello e funzionale, per ricordare qualcuno che non c’è più e di volerlo trasformare in una sorta di meta turistica. Ma è sempre importante pensare alle conseguenze di un’opera del genere. Dal punto di vista dell’impatto sull’ambiente e sul paesaggio, dell’aumento di frequentazione che può provocare sovraffollamento, problemi igienici e di sicurezza. Senza dimenticare che anche i bivacchi vanno gestiti, devono essere puliti e mantenuti regolarmente. È un aspetto da tenere in considerazione, anche da parte delle sezioni del Cai, per evitare che qualsiasi struttura, finisca presto abbandonata».