Noasca Towers, tra fessure e placche

Inizia il racconto della settimana di formazione del CAI Eagle Team a Ceresole Reale.
© Alessandra Prato

È stato David Bacci, Ragno di Lecco e scalatore con una grande esperienza extraeuropea, a propormi questa via: “facciamo la Gran Traversata, fessure..placche..bella sostenuta, bella tonica..ti va?” 
“Ovvio che mi va!”.

Non ho mai scalato con David, sono curiosa ed emozionata, come ogni volta che mi lego con un compagno nuovo. In realtà non vedo l’ora, ho proprio voglia di scalare (strano!) e mi diverte un po’ pensare che lui non mi conosca e non sappia cosa aspettarsi da me: sono sicura che ci divertiremo un sacco. Partiamo la mattina piuttosto con calma (giornate lunghe, poco avvicinamento), seguiti da Camilla Reggio e Riccardo Volpiano a cui è evidentemente piaciuta la proposta di via. Già mi piace l’approccio di David: “fast and light”. Mi dice di non doppiare i friends e mi propone di scalare con una mezza sola, piegata a metà. Non l’ho mai fatto ma, mi pare un’idea geniale. Nello zainetto nascondo solo del cioccolato extra perché so che avremo bisogno di energie..“oggi si corre”, penso.

Arrivati all’attacco nessuno vorrebbe essere il primo a mettere mano sulla roccia. Così, “carta-forbice-sasso”, vinco io e mi becco i primi 3 tiri. Parto veloce lungo l’evidente linea di spit, ho freddissimo, le dita sono completamente insensibili. Tiro in modo smisurato le prime tacche gelide ed esco dal boulder iniziale, da lì in breve fino alla prima catena, col sorriso: nonostante il freddo e l’impeto violento del sangue che riprende a circolare (facendomi scendere le due canoniche lacrimucce da bollita). Mi sento bene. Recupero in fretta la corda e un David infreddolito, poi parto per il secondo tiro: un altro boulder in partenza che dopo un attimo di esitazione supero rapida con un atletico ribaltamento. Quando David mi raggiunge si complimenta (forse stupito?) per la libera. Ora mi attende la Fessura della Pompa, una magnifica fessura che solca un diedro leggermente strapiombante apparentemente liscio: non ho dubbi sul perché si chiami così. Parto adornata di un ricco corredo di friends, di cui ne userò soltanto un paio, costretta dalla strenua lotta tra la “pompa” e la volontà della libera: per fortuna vince la seconda, ma senza troppo margine. “Ero certo che saresti saltata via là in mezzo!” mi dice David ridendo.

Ora tocca a David andare da primo di cordata, così gli cedo il testimone e, dopo un breve tiro di raccordo, si destreggia su una stupenda placca tecnica. Intanto il vento si alza, le raffiche aumentano di intensità, e noi iniziamo a battere i denti. Quando tocca a me raggiungerlo mi aggrappo con tutte le mie forze alle tacchine granitiche per non essere sbalzata via dalle raffiche. In sosta pare di essere in Patagonia, dice David. Io non ci sono ancora stata, ma lui dice che è così e che in giorni simili tendenzialmente non si scala. Non rispondo. La via è bellissima e ho voglia di salirla, e poi so di essere orgogliosa e non intendo chiedere a David di calarci. Il tiro successivo inizia con una fessura, seguita da un traverso con ribaltamento molto fisico e di difficile lettura e le condizioni patagoniche di certo non aiutano, ma David riesce comunque a Domarlo. Quando lo raggiungo in sosta, sbeffeggiata dalle raffiche, è lui a propormi di scendere. Non so se sono sollevata o dispiaciuta. Di sicuro sono contenta che me lo abbia chiesto lui, perché non so quando e se glielo avrei chiesto.

Mentre ci caliamo, tutti e 4, nessuno parla. Come me anche gli altri sono amareggiati per aver dovuto rinunciare. Ma il malumore dura poco, giusto il tempo di arrivare al rifugio, dove ci rifocilliamo. Già quando ripartiamo in direzione dei massi del Caporal (letteralmente un accumulo di grandi sassi), con l’idea di impratichirci nelle tecniche di offwidth, l’arrampicata in fessura, il morale torna a salire. Che mondo quello delle offwidth, e quante cose ci sono da imparare: non devi strisciare dentro le fessure come un cinghiale agonizzante, ma ci sono effettivamente molte tecniche sia per salire senza morire di fatica, sia per farlo in modo (quasi) elegante. Sono estremamente riconoscente a David per questa lezione improvvisata.

© Alessandra Prato

Nei giorni successivi ci dedichiamo ad altre attività e ad altre scalate, per quanto concesso dalle temperature estremamente rigide, dalla neve e dal vento a mille nodi (cambiamento climatico, sei tu?), poi finalmente arriva la giornata giusta per ritentare la Gran Traversata. Questa volta a seguirci è la cordata composta da Marco Cocito e Francesco, carichi come noi per questi tredici tonici tiri alle Noasca Towers. Io e David decidiamo di invertire i ruoli rispetto alla prima volta, per cui parte lui e gli do il cambio dopo la “fessura della pompa” (che con lo zaino è più faticosa!). Sono più stanca rispetto a qualche giorno fa, ma la via è davvero stupenda e voglio dare il massimo. Anche il tiro con ribaltamento atletico, che avevamo sofferto, ci riesce in libera. Così “conquistiamo” felici la prima delle tre torri. La seconda torre spetta a David e la terza a me, come capicordata: un’equa suddivisione dataci dalla sorte. I tiri sono uno più bello dell’altro, unico neo forse qualche spit di troppo in punti (pochi) ben proteggibili, ma in generale davvero nulla da ridire su questa linea impeccabile. Un tiro di resistenza caratterizzato da stranissime fessure orizzontali, seguito da una placca di minuscole crosticine, e poi da un tiro estremamente atletico con un’uscita dura e di difficile lettura, che purtroppo ha infranto il nostro sogno di libera traendoci in inganno e facendoci cadere tutti e quattro, uno dopo l’altro. Peccato! Ma alto il morale, proseguiamo verso la terza e ultima torre.

Eccomi di nuovo a guidare la cordata. Mi attende “La Sciabolata”, una strabiliante fessura dall’estetica perfetta che interseca un muro estremamente liscio e compatto. Dopo questo tiro esigente tocca a una tecnicissima placca, ma David mi fa notare un bellissimo diedro intonso, solcato da una sottilissima fessura verticale. C’è una corda fissa, vuol dire che Andrea Giorda, il “padrone di casa” su queste rocce, l’ha già adocchiato. Probabilmente però nessuno lo ha ancora scalato. Il mio sguardo rimane fermo sul diedro per diversi minuti, sono titubante, incapace di valutarne la difficoltà e la proteggibilità. David non vuole insistere, ma si vede che ci tiene e io mi lascio ingolosire facilmente. Eccomi allora alle prese con il diedro proprio quando i primi raggi di sole della giornata baciano la roccia. Un aiuto enorme, insieme a una buona dose di fatica e un ciuffetto di microfriends saccheggiati all’altra cordata, la giusta combinazione di elementi che riesce, pian piano, a farmi arrivare in catena. In più avevo una carica extra: nonostante qualche voletto e qualche pausa meditativa, David continuava a motivarmi mentre lottavo spalmata nel diedro, dicendomi addirittura che assomiglio a Lyn Hill (Serio? I miei polpacci imploravano pietà ma se qualcuno mi dice così non mollo). Dopo la mia “performance” David ha voluto provare il tiro da primo, e ha fatto bene. È salito agilmente con tecnica sopraffina e senza che gli esplodessero i polpacci. Quando mi ha recuperato, riprovando il tiro senza dover mettere le protezioni, lo ho trovato decisamente più scalabile e mi sono potuta concentrare sui movimenti, lottando comunque con le gambe devastate. Complimenti ad Andrea Giorda per l’intuizione: questo tiro è davvero una chicca, e sono felice di essere la prima ad averlo provato.

Dalla vetta ci separa un ultimo tiro, e arriva il momento più spicy della giornata: un’altra meravigliosa fessura, atletica, ma più facile delle precedenti. Parto sciolta, un po’ stanca, ma riesco a divertirmi. Proteggo bene (non tanto), non riposo, continuo ad andare. Corro anzi, perché sento la “ghisa” che arriva, che mi insegue come un’ombra. Mi mancano davvero pochi metri a uscire, e trovo Marco che mi sta filmando e incoraggiando dalla cima. Un ultimo movimento fisico, sono stanca, molto stanca, vedo un piedino in alto e penso: lancio e spalmo. Se lo becco resto su, se lo manco vengo giù. Ovviamente lo manco e volo per un bel pezzo. David non se lo aspetta, ma fa comunque un’ottima sicura. I friend che avevo piazzato erano ottimi! Scarico un attimo l’adrenalina, tra i fischi e le incitazioni dei compagni, e poi, piuttosto divertita dall’accaduto, riguadagno tutti i metri persi. Faccio finta di nulla e riprendo a scalare ridacchiando…ancora pochi movimenti e porto in vetta la cordata.

© Alessandra Prato