Rifugio Valasco
Andrea Sansoni in joelette con i suoi accompagnatori
Andrea Sansoni in joelette con i suoi accompagnatori
Eleonora Delnevo alla base dello Yosemite
Tramonto in parete - Yosemite
Chiara Personeni lungo un tratto di cammino dei Monti Sibillini
Chiara Personeni e gli accompagnatori verso il rifugio Campei
Arrivo a Santiago
Chiara e l'amica Vanessa lungo il cammino di Santiago
“Non è che vivo nonostante la disabilità, vivo insieme alla mia disabilità. Far capire questa cosa significa cambiare la cultura. Piano piano si raggiungerà anche questa cima”
Chiara Personeni ha 32 anni, è di Bergamo, e ha iniziato a frequentare la montagna nel 2019, dopo aver fatto il cammino di Santiago insieme alla sezione Cai di Gavardo, in provincia di Brescia, su proposta della sua amica Vanessa. Lì c'è una sottosezione dedicata all'escursionismo adattato, "Il sentiero di Cinzia", una donna con disabilità che oggi non c'è più. I volontari accompagnano in montagna persone con disabilità con l'aiuto della joelette, una carrozzina dotata di una o due ruote e supporti manuali per gli accompagnatori, progettata per le escursioni.
"Andare in montagna con questo gruppo mi ha aiutato ad avere un'altra percezione di me stessa. Prima avevo difficoltà a farmi aiutare e non facevo tante cose perché non volevo essere un peso. In montagna l'imprevisto è dietro l'angolo, è necessario che qualcuno ti aiuti. Questo mi ha sbloccato molto anche nella vita di tutti i giorni. Oggi, se voglio fare qualcosa, metto in conto che posso avere bisogno di aiuto".
Chiara ha una patologia neurologica dalla nascita, la diplegia spastica: una forma di paralisi cerebrale infantile che limita i suoi movimenti. Ha difficoltà a stare in equilibrio e cammina con due bastoni. "Quando sono in grinta, ne uso anche uno!".
Va in montagna accompagnata da uomini e donne del gruppo Cai con la joelette: la sezione ne ha un paio che dà gratuitamente a chi le richiede per fare un'escursione giornaliera. Per trasportare la joelette ci possono volere fino a 4 persone, e sono diverse le sezioni del Cai organizzate in questo modo – per esempio Verona, Latina, Veduggio.
Con la carrozzina si possono fare dai sentieri più tranquilli e lineari a quelli più impegnativi: "quest'anno siamo stati due giorni alle Tre Cime di Lavaredo dove abbiamo fatto un giro ad anello. Credo che la cima più alta dove sono arrivata è stata il Sasso Piatto, in Trentino".
Montagna accessibile e inclusiva
Una montagna apparentemente accessibile, con gli strumenti giusti per frequentarla. "Il tema dell'accessibilità è complesso e va ragionato sotto due aspetti" – spiega Fabio Pellegrino, presidente della Sodas, Struttura Operativa di Accompagnamento solidale del Cai. "L'accessibilità aiutata, attraverso gli ausili: la persona che non deambula a causa di una disabilità va in montagna grazie alla joelette e a tutte le persone che l'accompagnano. Il secondo tema è l'accessibilità con una certa autonomia".
Alcuni, infatti, preferiscono utilizzare la propria carrozzina e non essere trasportati da altre persone. "Mi è capitato che alcuni ragazzi non accettassero l'uso della joelette e ho dovuto indicare percorsi verso rifugi su strade asfaltate, magari chiuse al traffico", continua Fabio.
Alle sue parole fanno eco quelle di Andrea Sansoni, un uomo di 51 anni di Terni, che ha subito un trauma da parto per applicazione del forcipe; questo gli ha causato un danno emorragico al cervello, che si è riassorbito, e un danno motorio. Oggi Andrea cammina con la canadese, ossia la stampella.
Appassionato frequentatore di montagna, sin da quando era piccolo seguiva la famiglia alla ricerca di funghi, un'opportunità per studiare percorsi e sentieri in cui si incamminava con una stampella e un bastone di legno. "Ho una predisposizione per la montagna: il mio motto è 'tutte le montagne sono belle ma non tutte le montagne le sento mie'. I miei luoghi preferiti sono i Sibillini, Castelluccio da Norcia, la valle di Visso, Castel Sant'Angelo sul Nera, il monte Vettore e i monti della Laga".
Quando Andrea ha iniziato a frequentare la montagna da bambino, ancora non esisteva la joelette. Si è abituato a muoversi in autonomia e oggi preferisce spostarsi da solo. "Ho partecipato al battesimo della prima joelette a Terni, nel 2006 se non ricordo male. È stata un'escursione ai Pantani di Accumuli, fatta con il Cai e l'associazione Stefano Zavka - un'associazione di Terni che promuove la cultura della montagna (ndr). Ho avuto un iniziale senso di disagio".
Continuando a frequentare le associazioni e a partecipare alle uscite di gruppo, la sua prospettiva è leggermente cambiata. "Ho capito che la joelette non era un problema perché mi permetteva di frequentare persone che davano un'anima a quelle escursioni".
Anche nelle parole di Andrea si può rintracciare quel senso di comunità di cui ha parlato Chiara: l'escursione in montagna diventa un momento di incontro che permette di creare legami e di vivere un senso di solidarietà e vicinanza con altre persone. Una dimensione di gruppo in cui riconoscersi ma anche conoscersi con lenti diverse.
Un contesto che supporta: è stato fondamentale anche per Eleonora Delnevo, alpinista bergamasca rimasta paralizzata alle gambe dopo un incidente durante un'arrampicata, e membro del Sodas: “Ho avuto la fortuna di avere amici che subito mi hanno incitato e rimesso in pista! Dopo l'incidente ho fatto sport all'aria aperta da subito, magari non rendendomi conto del significato di quello che stavo facendo. Ovviamente non posso più fare alpinismo estremo, ma tutto il resto sì. Non è più come prima, ma mi concentro su quello che posso fare”.
Fabio Pellegrino, a questo proposito, parla di inclusione: "tutto quello che facciamo mettendo insieme persone diverse. In montagna se ne può fare tantissima, nel rispetto dei limiti e delle capacità di tutti".
Le escursioni adattate sono un momento di incontro sia per le persone con disabilità sia per i loro accompagnatori. "Chi accompagna porta sempre a casa tanto valore restituito dagli accompagnati. Secondo me la cosa importante che fa la Sodas è creare un gruppo".
Escursioni adattate con professionisti sanitari
Alle escursioni partecipano, sempre come volontari, anche professionisti sanitari, come Dario Ellena, un terapista occupazionale della provincia di Vercelli, membro della Sodas. "Mi occupo di riabilitazione da 17 anni e mi assicuro che la persona riacquisisca la propria autonomia. Cerco di trovare una soluzione adattiva o riabilitativa in modo che la persona con disabilità possa tornare a svolgere le attività di suo interesse".
Dario svolge un doppio ruolo: in quanto terapista, accompagna in montagna i pazienti che glielo chiedono; in quanto volontario CAI, accompagna le persone con disabilità nell'ambito delle escursioni adattate. Entrambi i ruoli si basano sul creare una relazione empatica con il paziente. "Il mio obiettivo è far capire alla persona se può o meno andare dove chiede di essere accompagnata, condividere l'esperienza ma non forzare le decisioni".
I suoi pazienti vanno dai 16 anni al termine della vita. "I ragazzi sono più formati su quello che offre il mercato e sono più interessati a scoprire strumenti che permettano loro di avere opportunità. Essendo giovani, avranno altri 40/50 anni da vivere, mentre una persona più anziana potrebbe essere più arrendevole. Oggi poi la tecnologia ci sta venendo incontro".
Dario si occupa sia di pazienti con disabilità ortopediche sia neurologiche. "Ho accompagnato persone amputate con protesi, oppure persone anziane con protesi all'anca e al ginocchio; ma anche pazienti che hanno avuto un ictus o la sclerosi multipla".
La priorità di Dario non è che la persona riesca a fare una performance di alto livello, ma assicurarsi che l'esperienza sia sicura. L'obiettivo della riabilitazione è andare o tornare in montagna.
Tuttavia, per quanto possa essere inclusiva e accessibile, essa non è l'alternativa giusta per tutti: "Non possiamo garantire a tutte le persone con sclerosi multipla di poter andare in montagna, perché ognuno avrà una performance o una tolleranza differenti". L'alta montagna, in particolare, può costituire un fattore di rischio per alcune patologie, ad esempio congenite o cardiache, ed è necessario svolgere esami specifici prima di andare in escursione.
Anche le uscite di Dario sono di gruppo, e spesso ci sono più persone con la stessa disabilità. Una condizione che, apparentemente, potrebbe generare molti rischi: più joelette, più ruote che potenzialmente possono bucarsi. Tuttavia, i vantaggi sembrano essere incomparabili. "Gestire venti persone con disabilità significa che nessuno ha i fari puntati addosso, ma l'attenzione è divisa tra tutti. Inoltre i problemi tendono ad annullarsi perché le persone vedono che non sono le uniche diverse del gruppo. Questo rende più semplici ed empatiche le relazioni".
Montagnaterapia
La montagna come luogo d'incontro e di progressi in termini di salute ed emancipazione. Il principio alla base della montagnaterapia, una modalità di frequentazione delle terre alte, da abbinare a trattamenti farmacologici, psicologici o riabilitativi, che permette alla persona con disabilità di curarsi e riabilitarsi. Sulla montagnaterapia si è espresso Luigi Festi, medico specializzato in chirurgia toracica, d'urgenza e del trauma, e nel trattamento del paziente ipotermico. È anche alpinista ed è stato presidente della Commissione medica centrale del CAI.
"Bisogna distinguere il benessere fisico, universalmente riconosciuto, di chi si approccia alla montagna, dal portare in questo ambiente un gruppo di persone, possibilmente con patologie omogenee, già in trattamento farmacologico. È importante creare un'atmosfera di gruppo, che contribuisce alla crescita e al miglioramento di ciascuno. Tuttavia, quello della montagnaterapia è un approccio terapeutico che deve essere ancora validato a livello clinico-scientifico".
I rifugi di montagna per le persone con disabilità
La montagna non è solo sentieri tra i boschi o pareti da scalare. Uno dei simboli più significativi di questo ambiente è il rifugio, altro teatro di incontro e a volte scontro tra mentalità e culture diverse.
I primi rifugi nascono nell'Ottocento per accogliere il riposo di alpinisti o viandanti di montagna e per ospitarli per la notte. Molti sorgono ad altitudini significative, in zone impervie e difficilmente raggiungibili se non da alpinisti esperti. Altri, invece, sono situati più a valle, lungo sentieri facili da completare e a volte anche accessibili da strade asfaltate.
Per una persona con disabilità il rifugio potrebbe essere un luogo con barriere architettoniche che non le permettono di muoversi in autonomia, ma anche teatro di incontri al sapore di pregiudizi e abilismo.
Andrea Sansoni dice di non avere mai incontrato ostacoli di natura fisica o culturale nei rifugi che frequenta. "Frequento il rifugio Giglioli sul monte Vettore, il Rinaldi sul Terminillo e il Polino, della sezione CAI di Terni. Io però so muovermi in autonomia e posso fare anche le scale. Se fossi stato su una sedia a rotelle, sarebbe stato diverso. Poi mi conoscono tutti e mi hanno sempre trattato bene. Sanno che porto cibo quando salgo e sono anche una buona forchetta!".
Diversa è invece la situazione presentata da Chiara Personeni: "sono stata in diversi rifugi in Italia non attrezzati per la disabilità. In alcuni il bagno è alla turca e io non posso andarci da sola. Ma non ho mai avuto esperienze di mancata accoglienza. A volte, se non erano avvisati del nostro arrivo, i rifugisti erano un po' spiazzati, soprattutto se il posto non era accessibile". Anche Eleonora Delnevo racconta un'esperienza simile: "I rifugisti sono persone fantastiche, cercano di metterti sempre a tuo agio, ma mai nessun rifugio è davvero accessibile per un disabile in sedia a rotelle. Spesso non c'è modo di andare da soli in bagno, in camera o di uscire in terrazzo".
Di rifugi accessibili ce ne parla Andrea Cismondi, gestore del rifugio privato Valasco - in origine casa di caccia della famiglia Savoia - situato nel cuore delle Alpi Marittime, ad un'altitudine di poco inferiore ai 1800 m.
Il tema dell'accessibilità inizia proprio dalla sua posizione geografica: da fine maggio a fine settembre i locali sono accessibili tramite una strada asfaltata, mentre dall'autunno questa viene chiusa e il rifugio è aperto solo per chi pratica scialpinismo. "Purtroppo siamo vincolati al luogo in cui ci troviamo. Dentro abbiamo stanze al piano terra con letti bassi, bagno per persone con disabilità, spazi comuni ampi che possono essere sfruttati per le attività di tutti. L'arrivo alla struttura non possiamo garantirlo sempre, dipende dalle possibilità del singolo".
L'accessibilità passa anche per i prezzi, o sovrapprezzi, da pagare. Andrea racconta che ha ristrutturato il rifugio negli anni 2000, ma molti lavori erano già stati fatti. "Abbiamo modificato alcune stanze e abbiamo perso un po' di capienza per garantire spazi più vivibili. Abbiamo fino a 40 posti letto, divisi tra camerate e 4 stanze a uso privato, con bagno interno. Il prezzo cambia solo tra la camerata e le stanze private".
Abilismo in montagna
Ma l'accessibilità si misura anche dai pregiudizi che bisogna affrontare. Sempre Eleonora racconta: "In Italia ti vedono come un eroe se vai in montagna, ti riempiono di complimenti. A qualcuno fa piacere, ma questa cosa ti fa sentire proprio il disabile della situazione". Mentre Chiara aggiunge: "Quando mi fanno i complimenti, io li rigiro sempre ai miei accompagnatori. Ma questo è abilismo, una discriminazione nei confronti della disabilità: essere considerato un eroe o un poveretto al quale mostrare pietà".
Dall'esperienza delle due donne emerge che l'atteggiamento abilista sia molto frequente in Italia, mentre in altri Paesi - per esempio in Spagna, in Inghilterra, in America - non solo non ci sono barriere architettoniche, ma i rifugi e i Parchi hanno tutte le dotazioni necessarie ad una persona disabile per muoversi in autonomia, e soprattutto manca lo stigma.
In occasione della giornata mondiale della disabilità, uno degli interrogativi più urgenti da porsi e da porre potrebbe essere: “le persone con disabilità sono davvero rappresentate e ascoltate o su di loro pesa lo sguardo di chi non ha una disabilità?”
A questa domanda, Chiara risponde senza indugi: "Non lo siamo mai in nessun ambito. Molte di noi non hanno gli strumenti o l'età per mettersi in gioco. Altre invece ci sguazzano nel pregiudizio. Nessuna di loro parlerà mai di accessibilità, di montagna inclusiva. Come rappresentazione della disabilità nel mondo della montagna, io non sapevo nulla prima di incontrare la sezione CAI di Gavardo e la Sodas. Ci vuole pazienza e tanto lavoro, ma si sta sviluppando più attenzione al tema".