Abituati come siamo a percorrere le valli di montagna in automobile per raggiungere le nostre mete escursionistiche, raramente abbiamo il tempo di soffermarci ad osservare il paesaggio e a riflettere sulle tracce del suo passato, anche perché le trasformazioni avvenute nei millenni le hanno in gran parte cancellate o nascoste.
Arriva pertanto come un faro puntato ad illuminare un’epoca lontanissima e affascinante, ancora in gran parte avvolta nel mistero, la pubblicazione da poche settimane in libreria MARC Museo archeologico cadorino “Enrico De Lotto”, a cura di Gian Galeazzi e Letizia Lonzi (Antiga Edizioni euro 18, pp. 110, illustrazioni a colori), con contributi di diversi autori storici dell’arte e archeologi, che indaga la storia della nascita ed evoluzione di questo prezioso museo archeologico con sede a Pieve di Cadore nel palazzo della Magnifica Comunità del Cadore. Il libro è al tempo stesso un compendio di storia antica, un manuale, un catalogo della collezione museale e una storia di cadorini di valore. Una pubblicazione che agli appassionati frequentatori dell’area dolomitica offre una preziosa lettura, come una cartina al tornasole, del territorio del Cadore in epoca romana e preromana, e permette di apprendere ampi frammenti di protostoria e storia antica di questa affascinante regione alpina immersa tra le Dolomiti.
La nascita della collezione del MARC è avventurosa e comincia con i primi ritrovamenti casuali avvenuti a partire dalla seconda metà dell’Ottocento: a Lozzo nel 1851, a Làgole nel 1856 scavando i tufi per la ricostruzione del Ponte della Molinà, a Pozzale nel 1878, dove emergono i reperti di una necropoli dell’età del Ferro e via a seguire, cosicché già nel 1880 vene istituita ufficialmente la "Raccolta cadorina di oggetti archeologici” che giustifica la visita ufficiale della Regina Margherita di Savoia, salita appositamente a Pieve l’anno successivo da Perarolo, dove si trovava in villeggiatura estiva, per vedere gli oggetti ritrovati. Nella collezione erano confluite anche altre testimonianze di epoche successive quali il diploma di Carlo V del 10 maggio 1533 che nominava Tiziano cavaliere della Milizia aurata e conte palatino, un bozzetto dell’opera Il Dannato dello scultore Brustolon, documenti e lettere originali di Tiziano e altro. Durante la Prima Guerra Mondiale la raccolta corre grossi rischi e finisce in parte, soprattutto gli oggetti archeologici, dispersa quando le truppe nemiche fanno ingresso a Pieve il 9 novembre 1917 e occupano il palazzo; ma alcuni dei reperti più preziosi, come la lastra con iscrizione di epoca romana, erano stati tempestivamente messi al sicuro o nascosti.
A rendere più ricco di testimonianze il museo contribuiscono negli anni anche gli scavi sistematici realizzati da alcuni cadorini appassionati, quali Alessio De Bon, originario della piccola frazione di Rizzios di Calalzo di Cadore, che si dedicò alla ricerca archeologica lasciando il suo lavoro di arrotino, e tra le due guerre venne incaricato di fare i rilievi sulla via Claudia Augusta Altinate: i suoi studi hanno permesso di portare alla luce tratti della strada romana a Valle di Cadore, Lozzo e Monte Croce Comelico. E poi il calaltino Giovan Battista Frescura (1921 - 1993), lo “Schliemann cadorino”, autodidatta e autore di grandi scoperte archeologiche, che si dedica - nei ritagli di tempo dal suo lavoro in occhialeria - agli scavi nella zona di Làgole, dove numerosi ritrovamenti hanno permesso di ricostruire l’esistenza, a partire dall’Età del Ferro, di un luogo di culto molto frequentato e legato alla presenza dell’acqua solforosa. I tanti oggetti devozionali e d’uso quotidiano - lamine, bronzetti, manici, strumenti - emersi dal sottosuolo, spesso incisi con iscrizioni votive, hanno permesso di ricostruire la lingua dei Veneti antichi, il venetico, appartenente al ceppo indoeuropeo. Làgole è il secondo centro di culto del venetico per importanza, dopo Este. E poi, ancora, c’è Enrico De Lotto (1911 - 1963), a cui il museo è intitolato: medico e studioso di San Vito di Cadore, fu tra i primi a interessarsi ai siti di Làgole e Valle di Cadore, reperì i fondi per gli scavi archeologici e individuò nel palazzo della Magnifica Comunità la sede espositiva ideale.
La griglia geografica dentro la quale collocare questi mondi lontanissimi e quasi invisibili, è quella del tessuto stradale che collega ancora oggi la Valle del Piave da un lato con la Val Pusteria attraverso il Passo di Cimabanche e il Passo Monte Croce Comelico; e dall’altro i due valichi di Passo della Mauria e Forcella Lavardet che connettevano la regione cadorina alla Carnia, in particolare con Zuglio, lo Iulium Carnicum dei romani, località importante lungo la strada per il Norico, l’attuale Austria. I cantieri attualmente in corso per realizzare diversi bypass stradali e decongestionare il traffico automobilistico che conduce a Cortina, in particolare la galleria di Valle di Cadore, stanno restituendo ancora numerose tracce del lontano passato di queste montagne, e nei prossimi anni potrebbero permettere, con quei ritrovamenti, una lettura più completa della storia antica di queste montagne.