Lo Sperone della Brenva

Il versante della Brenva del Monte Bianco © Wikimedia Commons

Tutti ricordano la prima scalata del Cervino nel luglio del 1865, ma nella stessa memorabile estate ci fu un’impresa forse ancora più innovativa dal punto di vista della concezione e della realizzazione. Per ironia della sorte si svolse il 15 luglio, un giorno esatto dopo la salita del Matterhorn per la via svizzera. Si può dire che l’alpinismo pionieristico deponga tragicamente le armi nella stessa sera in cui, quasi clandestinamente, si prepara il nuovo alpinismo; è un parto in tono minore, perché la coincidenza beffarda, e il clamore in odore di dramma che si diffonde dalla valle di Zermatt, lo relega a un ruolo di secondo piano.

L’impresa ha luogo sull’inospitale e severo versante meridionale del Monte Bianco, diviso in due parti dalla cresta di Peutérey e segnato da lisci pilastri di protogino, scivoli di ghiaccio, seracchi sospesi. A destra della Peutérey e del Grand Pilier d’Angle, il Ghiacciaio della Brenva sembra arrampicarsi contro le leggi della gravità sulla parete superiore del Bianco di Courmayeur, rendendo himalayano l’intero versante e offrendo solo rare sporgenze di roccia a protezione dai crolli. Ancora più a destra, in vista della parete del Mont Maudit (il Monte Maledetto che in passato diede il nome al massiccio), uno sperone di ghiaccio sostenuto da un cordolo di granito delimita la parete della Brenva e sale fino alla cresta terminale, sbarrato all’uscita da una collana di seracchi. Non è una via facile, non è una via normale, ma è una delle linee più belle che conducano sul tetto d’Europa.

Il primo a credere nella possibilità di scalare il Monte Bianco dalla Brenva, dunque da Courmayeur, è la leggendaria guida dell’Oberland Christian Almer, lo stesso che aveva dichiarato a Whymper «qualunque montagna, signore, ma non il Cervino!». Almer è un provetto e instancabile gradinatore, e come il collega Anderegg preferisce il ghiaccio alla roccia, lo sente più suo, anche se non può ancora contare sull’aiuto dei ramponi e deve accontentarsi di scarponi chiodati, ascia da ghiaccio, equilibrio, coraggio e forza di volontà. Ma siccome Almer è indisponibile in quei giorni, la sfida è raccolta dal geniale alpinista d’oltre Manica Adolphus Warburton Moore con i compagni George Spencer Mathews e Frank e Horace Walker, tutti guidati da Melchior e Jakob Anderegg.

La comitiva Moore parte il 14 luglio da Courmayeur e sale la sinistra orografica del ghiacciaio della Brenva fino al costone roccioso che si insinua sotto la Tour Ronde. Bivaccano a 3200 metri, assistendo con timore agli ultimi crolli di ghiaccio in parete, isolati sull’immenso versante. Ripartono in piena notte con le lanterne, un quarto d’ora prima delle tre, dopo una colazione a base di tè e vino. Nello stesso momento, ai piedi del Cervino, il povero Whymper cerca inutilmente di prendere sonno nell’albergo Monte Rosa di Zermatt, annichilito dalla tragedia che ha da poco colpito Croz e tre compatrioti. 

Alle cinque e trenta del 15 luglio quelli della Brenva arrivano alla base dello sperone. Raggiunta la quota 3530 (oggi Col Moore), si innalzano sulle rocce di sinistra. Tutto precede bene fino all’affilata cresta di ghiaccio. Ci fosse stato in testa Melchior, – questa è l’impressione di Moore – sarebbero sorti dubbi sulle possibilità di farcela da parte di una comitiva così numerosa, ma è Jakob, casualmente, a condurre in quel tratto. Senza pensarci due volte, la giovane guida si lancia sulla cresta ghiacciata, prima a cavalcioni e poi in piedi sul filo, tagliando gradini a tutta forza. Al termine i sei uomini si trovano di fronte al grande pendio di neve e ghiaccio. Qui ripassa in testa Melchior, la guida più esperta, dotato del fiuto necessario per cercare una via d’uscita dal labirinto.

Ostacolati dal ghiaccio che a tratti appare sotto la neve, si avvicinano al muro bianco che sbarra la strada. A sinistra non s’intravede nessuna possibilità, allora provano a destra. Melchior supera il labbro di un crepaccio, scala la parete seguente, poi con la corda tira su gli altri per cinque metri verticali e così possono continuare la salita verso il Colle della Brenva a 4303 metri. L’ascensione procede lungo il noto Mur de la Côte e alle quindici e dieci è cosa fatta: si abbracciano finalmente in vetta al Bianco. Alle undici di notte, dopo una grande giornata, sono tutti sani e salvi a Chamonix.