Siccità e rifugi

Il tema della scarsità d’acqua riguarda ormai tutto il nostro Paese. I rifugi non fanno eccezione, con possibilità di chiusure anticipate e limitazioni nell’utilizzo dei servizi. Per ridurre gli sprechi, sono importanti anche i comportamenti consapevoli dei frequentatori
Una situazione estremamente preoccupante, che potrebbe portare a chiusure anticipate o a limitazioni nell’utilizzo dei servizi destinati agli ospiti. Stiamo parlando della disponibilità d’acqua dei rifugi alpini e appenninici a seguito della grande siccità che sta affliggendo il nostro Paese. Una situazione difficile, che segue una stagione invernale caratterizzata da alte temperature e scarso innevamento. Per capire meglio lo scenario odierno e le possibili conseguenze, abbiamo parlato con diversi gestori di rifugi, in varie regioni. Limitare il consumo dell’acqua è diventata ormai una parola d’ordine, un concetto che vale non solo per i rifugisti, ma anche per i frequentatori.

Evitare gli sprechi

«Nessuno di noi ricorda una stagione tanto anticipata e secca, con la via normale del Monviso senza neve già alla riapertura del rifugio», racconta Silvia Balocco, che con il marito Alessandro Tranchero gestisce il Rifugio Quintino Sella al Monviso (2640 metri). «Già l’anno scorso avevamo chiuso il rifugio due settimane prima del solito a causa della siccità e adesso, dopo un inverno tanto avaro di precipitazioni, siamo di nuovo costretti a fare i conti con la scarsità d’acqua. Ed è un problema, anche perché – oltre all’uso primario dell’acqua all’interno della struttura – va ricordato che dal 2003 il rifugio è supportato da una centralina idroelettrica che fornisce energia per i frigoriferi, la lavastoviglie, la cucina, il riscaldamento per le docce degli ospiti…Per noi, dunque, il rifornimento idrico è un bene estremamente prezioso».
«Al momento però non riesco a fare previsioni: le settimane a venire hanno un grosso punto interrogativo. I giorni scorsi ha piovuto, ma troppo poco per cambiare le cose. Certo, stiamo cercando di mettere in atto tutti gli escamotage possibili per evitare sprechi e risparmiare l’acqua, ma ormai siamo nelle stesse condizioni dei contadini: osserviamo il cielo e aspettiamo».
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Il Rifugio Quinto Alpini (giugno 2022) © Fb Rifugio Quinto Alpini

Mai così poca neve a giugno

Al Rifugio Quinto Alpini, in Alta Valtellina (2877 metri) al momento la situazione è ancora sotto controllo. «Prendiamo l’acqua dal ghiacciaio, questo dovrebbe garantirci l’approvvigionamento per tutta l’estate. Il manto nevoso è però davvero scarso, non ricordo un giugno con così poca neve, faremo più fatica a seguire gli spostamenti dei vari corsi d’acqua», afferma Michele Bariselli, gestore insieme alla moglie Elena.
A oggi non sono previste chiusure anticipate dunque, anche se l’uso della doccia «sarà limitato nei periodi in cui il livello delle vasche di accumulo dovesse abbassarsi. Questo è sicuramente un anno anomalo, però una certa tendenza è ormai innegabile. Il problema dell’acqua sarà sempre più presente in montagna e non solo. Per questo abbiamo già preventivato di aggiungere altre vasche».
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Il Rifugio Galassi © Christian Cecchetelli

Recupero dell’acqua e razionalizzazione dei consumi

«La differenza con gli anni passati è enorme. Di solito qui avevamo la neve fino a fine giugno, quest’anno si è sciolta tutta già da un mese», dice Christian Cecchetelli, uno dei volontari che gestiscono il Rifugio Galassi, situato sulla forcella piccola dell’Antelao (Dolomiti Bellunesi), a poco più di 2000 metri.
«In questo momento, la sorgente da cui prendiamo l’acqua per uso non potabile ha una portata davvero limitata. Se continua così, temo che a luglio e ad agosto dovremo limitare fortemente l’utilizzo delle docce e degli altri servizi igienici».
Cecchetelli non ricorda una siccità simile dal 2017. «Quell’anno abbiamo dovuto chiudere le docce, ma stavolta è peggio». Contromisure?
«Lavorare sul recupero dell’acqua piovana, razionalizzare i consumi e, ultima soluzione, aumentare il volume delle vasche. Noi ne abbiamo una che ha una capacità di 1500 litri, credo che in futuro dovremo raddoppiarla».

Problema accentuato dalla siccità invernale

«Siamo avanti di due mesi rispetto al normale; una situazione così sdi solito la vediamo in agosto», conferma, riferendosi alla disponibilità idrica, Marco Bosetti del Rifugio Carè Alto, nel Gruppo dell’Adamello, in Trentino (2459 metri). Il rifugio si trova esattamente sotto il ghiacciaio, dunque l’acqua dovrebbe bastare fino a fine stagione. «Ma come quantità è circa la metà del solito. Abbiamo avuto altri anni problematici, ma mai così gravi. Del resto, penso che questa situazione sia ormai strutturale, l’andamento è costante ormai da tempo. La scarsità di neve dell’ultimo inverno non ha fatto altro che accentuare il problema. Se questa crisi climatica continua, dovremo abbandonare il ghiacciaio e, di conseguenza, la montagna».

Rischio chiusure anticipate

Difficoltà anche in Friuli Venezia Giulia, dove la gestrice del Rifugio Pordenone, Marika Freschi, sta pensando, insieme al Cai Pordenone (Sezione proprietaria della struttura), di realizzare un’altra vasca per la raccolta dell’acqua piovana. Qui, alle pendici di Cima Meluzzo (gruppo degli Spalti di Toro-Monfalconi) negli ultimi giorni ha piovuto, ma non basta.
«Se la portata della sorgente da cui ci approvvigioniamo cala ancora, dovremo chiudere prima della fine della stagione. L’installazione di nuove vasche che raccolgano non solo l’acqua proveniente dallo scioglimento della neve, ma anche quella piovana, è ormai necessaria. Solo nel 2003, quando gestivo un altro rifugio, ho dovuto chiudere in anticipo».
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Il Rifugio Rossi alla Pania (giugno 2022) © Antonello Chiodo
In Apuane le parole che abbiamo raccolto sono molto simili. «Questa disponibilità di solito l’abbiamo a fine luglio», afferma Antonello Chiodo, gestore del Rifugio Rossi alla Pania (1609 metri).
«Ora non so dire se dovremo chiudere in anticipo, ma è necessario contingentare l’uso dell’acqua, in cucina e nei bagni». Chiodo ricorda che le cassette dei wc contengono circa dieci litri d’acqua, «è facile immaginare dunque quanta ne venga usata ogni giorno. In cucina una soluzione potrebbe essere quella di utilizzare le stoviglie monouso».
Anche qui una stagione simile è stata quella del 2003, «ma non così grave al punto di dover limitare l’utilizzo dell’acqua. Questo è un trend ormai strutturale, è così da qualche anno a causa di un innevamento sempre più scarso».
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Il Rifugio Sebastiani (maggio 2022) © Fb Rifugio Sebastiani

Più cultura di montagna

Fanno riflettere le parole di Eleonora Saggioro, che gestisce il Rifugio Sebastiani al Colletto di Pezza (2102 metri), sul Velino-Sirente. La struttura ha aperto il 27 maggio e utilizza solo l’acqua piovana, quella per cucinare viene portata con un fuoristrada lungo una carrareccia. Anche qui la situazione delle cisterne è pienamente agostana, dal giorno dell’apertura ha piovuto solo due volte. «Potremmo aumentare i rifornimenti da valle, mettendo di conseguenza l’utilizzo del bagno a pagamento, dato che per noi i costi aumenterebbero. Al momento è solo un’ipotesi, ma dobbiamo già avere pronto il piano B nell’eventualità che il livello dell’acqua nelle cisterne scenda eccessivamente». Ma quest’idea non piace molto alla Saggioro.
«Quello che vogliamo davvero fare è sensibilizzare le persone sul problema della disponibilità dell’acqua. Ad esempio, il bagno va usato solo se strettamente necessario, una semplice pipì si può fare nel bosco, soprattutto per quanto riguarda gli uomini. Questo trend è iniziato già da diversi anni ed è stato accompagnato da una maggior affluenza di persone nei rifugi, favorita anche dalla pandemia. Quindi abbiamo contemporaneamente più persone, meno cultura di montagna e una situazione climatica in peggioramento. Per questo sono contraria ad aumentare la capacità delle cisterne. Così facendo, le persone non avranno mai la percezione del cambiamento e non modificheranno i propri comportamenti. Trovando l’acqua a pagamento o, in via estrema, il rifugio chiuso, forse si imparerebbe qualcosa. A mio avviso il ruolo dei rifugi e dei loro gestori è anche quello di trasmettere una sana cultura della montagna, improntata alla sobrietà».
Chiudiamo la nostra carrellata al Rifugio Franchetti (2433 metri), sul Gran Sasso. Lo scorso inverno, qui, è stato mediamente nevoso, e quindi la situazione è la migliore di quelle degli altri rifugi con cui abbiamo parlato. «La mia sorgente dipende dai nevai e dal Calderone e, al momento, saremo 15 giorni avanti rispetto alla media», conferma il gestore Luca Mazzoleni.
«Non prevedo conseguenze, quindi, ma le contemplo. Un’ipotesi, in caso di emergenza, sarebbe quella di chiudere per il pernottamento. In ogni modo quest’anno ho portato due cisterne in più, per prevenire eventuali problemi».

Il bando del Cai

Per favorire la resilienza dei propri rifugi all'emergenza idrica, il Comitato direttivo centrale del Cai ha approvato il bando che stanzia 300mila euro per interventi di “approvvigionamento acqua e contenimento consumi idrici nei rifugi del Cai”.