Il nuovo, grande, crepaccio sul Breithorn Occidentale

Nel quadro di sofferenza causato dai cambiamenti climatici si è inserita l'apertura di un nuovo grande crepaccio sulla calotta sommitale del Breithorn Occidentale (massiccio del Monte Rosa). Le fotografie qui riportate, scattate da Marco Soggetto e pubblicate da Varasc.it, lo ritraggono dal versante svizzero. Abbiamo approfondito questo fenomeno assieme al glaciologo Giovanni Baccolo.
Il carattere dinamico e mutevole dei ghiacciai ha contribuito a modellare, nei secoli dei secoli, il volto delle montagne. Quello dei ghiacciai è un lavoro minuzioso, di cesello, che in parte ricorda quello dello scultore: ragionando per sottrazione, aggiungono profondità alle valli, ne accentuano le curve, ingentiliscono le asperità più accentuate. Erodono versanti ed espellono massi e detriti in enormi accumuli morenici. I ghiacciai tolgono ma, a ben guardare, al contempo aggiungono. Aggiungono candore, fluidità, ma soprattutto vita alle montagne. Sì, perché i ghiacciai sono delle "creature" vive: nascono d’inverno sotto forma di neve, entrano a fare parte di un corpo più grande e accogliente, e iniziano a camminare verso il basso. A causa dei cambiamenti climatici, tuttavia, la vita dei ghiacciai si sta accorciando. A volte in un silenzioso e malinconico processo di fusione, in altre occasioni in modo brusco, eclatante, drammatico. Tutti abbiamo ancora negli occhi le immagini del collasso avvenuto la scorsa estate sulla Marmolada, di quel taglio netto e profondo che, recidendo la montagna, ne metteva in mostra la carnagione azzurro chiara. Quella ferita si è fatta simbolo della condizione di patimento che stanno attraversando i ghiacciai a causa del riscaldamento globale, una delle più importanti conseguenze dell'eccessiva pressione antropica sull'ambiente. In questo quadro di sofferenza, nelle ultime settimane si è inserita l'apertura di un nuovo grande crepaccio sulla calotta sommitale del Breithorn Occidentale (massiccio del Monte Rosa). Le fotografie qui riportate, scattate da Marco Soggetto e pubblicate da Varasc.it, lo ritraggono dal versante svizzero. Come ci ha spiegato Giovanni Baccolo, glaciologo, «Non è semplice comprendere se la comparsa di quel crepaccio sia conseguenza della normale dinamica del ghiacciaio o se invece vi sia un nesso con i cambiamenti climatici». Baccolo ci ha poi fornito un approfondimento più dettagliato che riportiamo qui di seguito.
Una foto del crepaccio © Twitter
«Le prime informazioni circa l’allargamento del profondo crepaccio che incide la calotta sommitale del Breithorn Occidentale risalgono a quest’estate. Nella sua anomalia l’ultima stagione estiva è stata talmente catastrofica per i ghiacciai alpini che questa notizia non si è però diffusa al di fuori della comunità glaciologica. Le nuove fotografie scattate da Marco Soggetto riportano l’attenzione su quell’angolo delle Alpi Pennine». «Sono immagini impressionanti. Si vede chiaramente che il crepaccio si è approfondito nella massa ghiacciata per tutto il suo spessore. La spaccatura ha isolato una grande porzione del ghiacciaio dal corpo principale, trasformandolo in un enorme seracco. L’inclinazione del letto su cui poggia quella parte di ghiacciaio - affacciata verso il vuoto che sovrasta il Triftjigletscher - rende il quadro ancora più serio. Sembra davvero che da un momento all’altro il blocco possa precipitare». «Prima di commentare la notizia e cercare di capire se il fenomeno possa avere qualche legame con il cambiamento climatico, è bene sottolineare che quel grande seracco incombe su una parete - la Nord del Breithorn Occidentale - ai cui piedi non si trovano infrastrutture o percorsi frequentati. Ci sono solo vie alpinistiche di alta difficoltà che salgono da quel versante. Chi penserà di percorrerle non sottovaluterà la presenza del seracco e probabilmente preferirà percorrere altri itinerari. Il rischio associato al potenziale crollo è quindi limitato. Anche i tanti alpinisti che raggiungono la cima dalla via normale - il Breithorn Occidentale è uno dei 4000 più frequentati - non dovrebbero avere problemi. Le pendenze mostrano che il crollo non potrà interessare il versante di salita del percorso normale, ma coinvolgerà il precipite versante nord. Il crepaccio è inoltre talmente aperto e visibile che basterà rimanere a distanza di sicurezza durante la salita». «E ora veniamo al dunque: possiamo in qualche modo collegare l’apertura del solco al cambiamento climatico? Allo stato attuale è difficile rispondere alla domanda. Non sono infatti disponibili informazioni dettagliate su quanto stia accadendo sul Breithorn. Possiamo però fare delle ipotesi». «Il primo elemento che dobbiamo considerare è che i ghiacciai, specie quelli ancora in salute e capaci di produrre nuove ghiaccio, si muovono e quando sono posti in zona di cresta con forti pendenze, come in questo caso, possono periodicamente sviluppare grandi seracchi destinati a crollare. La calotta del Breithorn si trova a oltre 4000 metri, dove anche ai tempi del cambiamento climatico la neve riesce ad accumularsi ogni anno. Quel ghiacciaio è quindi attivo, produce ghiaccio e si muove. Da questo punto di vista quanto sta accadendo sulla montagna potrebbe essere la normale conseguenza della dinamica glaciale. La stessa morfologia del ghiacciaio lo suggerisce. La presenza di una ripida scarpata di ghiaccio indica che in quel punto il ghiacciaio è normalmente soggetto a crolli. Per capire se l’apertura di quel crepaccio così vistoso sia un’anomalia sarebbe opportuno ricostruire il comportamento del ghiacciaio negli scorsi decenni e verificare con quale frequenza quel settore è stato soggetto a crolli e con quali volumi coinvolti». «Passiamo ora al campo delle ipotesi. Che i ghiacciai Alpini siano in sofferenza non è una novità. I ghiacciai stanno trasformandosi a velocità che sorprendono anche gli esperti. I ghiacciai a più bassa quota si ritirano a tassi sempre più veloci e scompaiono ogni anno numerosi. Il ritiro può procedere nel silenzio di remoti valloni oppure provocare delle catastrofi, come quella che ha coinvolto il ghiacciaio della Marmolada. Se ci spostiamo più in quota, come nel caso del Breithorn, la situazione è però diversa». «Sopra i 4000 metri i ghiacciai Alpini erano prevalentemente freddi, vale a dire la loro temperatura era ben al di sotto del punto di fusione. Questo faceva sì che in questi ghiacciai d’alta quota non fosse praticamente presente acqua liquida e che la loro base fosse incollata dal gelo al letto roccioso. Uso il passato perché questa situazione, a causa dell’aumento delle temperature, sta mutando. Anche in quota è sempre più frequente osservare prolungati periodi di fusione, specie in estati calde come quella appena trascorsa. A causa di ciò i ghiacciai freddi stanno lentamente modificandosi in temperati. Un ghiacciaio si dice temperato se la sua temperatura è al punto di fusione e se contiene una frazione di acqua liquida. Da un punto di vista dinamico l’enorme differenza tra ghiacciai freddi e ghiacciai temperati è che i secondi non sono ancorati al letto roccioso, ma scorrono al di sopra di esso grazie all’effetto lubrificante dell’acqua di fusione. La velocità con cui si è aperto il crepaccio/seracco sul Breithorn potrebbe dipendere da questa transizione invisibile, che richiederebbe accurati sondaggi termici per essere compresa a fondo». «La transizione da regime freddo a regime temperato sarà un tema di ricerca primario per la glaciologia alpina del prossimo futuro. Comprenderla avrà un’enorme importanza per poter prevedere e interpretare il comportamento dei ghiacciai più in quota, gli ultimi che probabilmente rimarranno a impreziosire le Alpi».