Federica Mingolla: «In un semplice pezzo di roccia trovo tutto»

La guida alpina torinese continua a macinare progetti. «In montagna cerco il disagio, ma so quando è il momento di rinunciare»

Federica Mingolla è una forza della natura: la guida alpina torinese ha 29 anni, di cui la metà passati a scalare, ha coraggio da vendere e una spontaneità che ispira simpatia. Da qualche anno ormai si è orientata sulle vie lunghe e sull'alpinismo, e ultimamente non disdegna anche qualche nuova apertura.

 

Nella conversazione hai un carattere diretto. È qualcosa che si ritrova anche nella tua arrampicata?

Credo che il carattere si rifletta anche nell'arrampicata e sì, prendo le cose un po' di petto. Non mi tiro indietro se c'è da provare. Hai presente quando alla base di un tiro il tuo compagno ti chiede: «Vai dura o vai a guardare?» Io non vado per guardare, se provo deve essere per riuscire. Ieri ho provato un 8a+ subito, appena arrivata in falesia. È andata meglio così rispetto a quando mi scaldo normalmente con tutta la preparazione del caso.

 

Federica scala in Valle dell'Orco © M. Spataro

Con un approccio del genere, soprattutto in situazioni al limite, immagino che bisogna avere un buon contatto con sé stessi.

Certo, se vai su cose che ti mettono alla prova, pensiero e azione devono essere ben connessi. Non ci si deve buttare in una cosa tanto per provare, non funziona.

 

Che approccio hai con la rinuncia? Anche in quel caso bisogna essere molto presenti a sé stessi, non trovi?

Mi è capitato, l'ho messo anche nel mio libro. La forza della rinuncia, ne ho parlato in questi termini. Perché tirarsi indietro non è una sconfitta, se è un modo per seguire il proprio istinto. Ci sono delle volte che hai la sensazione che andando avanti succederebbe qualcosa di brutto, quando non tutto profuma di rose. Allora vai semplicemente a prevenire qualcosa che sta per accadere. Per esempio: io e Lise Billon eravamo in Patagonia, volevamo salire una via che era stata appena aperta, roccia scalata solo una volta, quindi di certo non pulita. E poi siamo arrivate all'attacco tardi. Lise è partita sul primo tiro, era un 6a+, non difficile, ma si è staccato qualcosa. È scesa e mi ha chiesto se volevo provare io, ma anche a me è rimasto qualcosa in mano, poi non avevamo niente per bivaccare che non fosse di emergenza. Mi sono detta che era il caso di rinunciare, ma più che un pensiero è stata proprio una sensazione. Non ho mai avuto rimpianti per quel no e anzi, mille di queste volte. Anche Lise era d'accordo e ho avuto la riprova che bisogna parlarsi, non che siccome siamo alpinisti duri allora andiamo avanti a ogni costo.

 

Con Lise Billon in Patagonia © F.Mingolla

 

Come va con l'arrampicata sportiva?

Il mio rapporto con l'arrampicata sportiva è un po' abbandonato. In inverno, di solito, un mese, un mese e mezzo di arrampicata sportiva lo praticavo. Migravo in Spagna o in posti caldi, ma ora non mi va. Non mi piace stare troppo in mezzo alla gente, ormai ci sono falesie dove c'è la coda anche sul 9a. Se devo provare un tiro duro ho bisogno di una certa tranquillità, senza la fretta che devi fare presto. L'arrampicata sportiva è bella perché è molto chill, ti rilassa, ma in questo momento non mi prende al punto da impegnarmi troppo, non ho progetti.

 

Cosa farai quest'anno?

Le vie lunghe sono sempre in cima alla lista, ma quest'anno devierò un po', perché il Cai mi ha proposto di andare a scalare il K2 con un team di sole donne. Saremo quattro italiane e quattro pachistane. Mi è arrivata questa proposta, su una cosa che non era assolutamente nei miei pensieri perché gli Ottomila non li ho mai presi in considerazione. Mi reputo troppo giovane per certe cose, lì ci vuole resistenza e a me piace toccare la roccia. Però, dal momento che me lo hanno chiesto e ho la possibilità di fare qualcosa di completamente nuovo, sarebbe stato un peccato rinunciare. E poi siamo una squadra di donne, e più di tutto sono i 70 anni della salita al K2 e mi piace l'idea di fare qualcosa di patriottico, mi sento onorata.

 

Quest'anno hai chiuso anche la tua prima solitaria “importante” alla Granta Parey. Com'è andata?

Lo volevo fare da tempo. La Granta Parey è la mia montagna di casa, i miei amici avevano aperto questa via – Gioia nera- e me ne parlavano con entusiasmo. Mi sono appassionata già solo ai racconti e quando è stata liberata ho iniziato a pensarci. La volevo fare da sola, ma mi sono goduta un po' la sensazione e ho fatto un po' di pratica, mi sono allenata sull'autosicura. Un giorno mi sono svegliata e sono andata. Il punto è che arrivi lì tutta bella e convinta, ma quando ho iniziato...mi sono ca**ta addosso! Sul primo tiro, che era un 6b+, mi sono persa perché era chiodata lunga, ci ho messo un'ora tra salire e scendere. Mi sono detta dai, faccio anche il secondo e vediamo come va. Ero lenta ma non andavo così male, dopo il tiro di 7a ho preso il ritmo, la mia testa ha preso il volo. Poi, all'ultimo tiro, un 7b, mi sono un po' impaurita perché ero stanca, la corda pesava sullo strapiombo. Ma ho fatto un'asola sulla corda per limitare l'eventuale caduta e ho fatto il passo, sono andata. Mi sono sentita una privilegiata, ma ho realizzato solo dopo un paio di mesi quello che avevo fatto. Il rifugista, Mathieu, che mi aveva seguito con il drone, mi ha fatto trovare lo spritz quando sono scesa: è stato bellissimo.

 

Federica in solitaria su Gioia nera © F.Mingolla

 

Arrampichi da metà della tua vita. Il percorso che hai fatto ti realizza?

Sono super contenta, vivendo in periferia a Torino se non avessi trovato l'arrampicata forse sarei finita a drogarmi o a fare cose infelici. Ma le montagne erano lì, mio padre da bambina mi portava a camminare, a sciare. E anche se ad arrampicare ho iniziato in palestra, lì sono durata poco. Le gare non mi piacevano e il contatto con la roccia è stato un colpo di fulmine.

 

La via della svolta?

La via del pesce, nel 2016. Direi che mi ha fatto capire che mi piaceva il disagio, le vie belle lunghe e una certa assenza di programmazione. In generale mi piacciono le vie non troppo ripetute, ma non mi serve andare dall'altra parte del mondo. L'importante per me è che dentro la situazione possa rimanere con me stessa.

 

Sul tuo report della via Amore che vieni, amore che vai hai riportato questa frase: la complessità nasconde la superficialità, nella semplicità si nasconde la profondità.

Lo dice Krishnamurti, è un concetto che sembra banale e forse lo è, o forse no. È però una frase molto chiara e che trovo vera al cento per cento. L'ho riportata perché nella nostra via in Sardegna, in un semplice pezzo di roccia, abbiamo trovato molto di più: ai nostri occhi ci permetteva di esprimerci, di trovare le nostre emozioni, i nostri desideri, tantissime cose tutte lì, davanti ai nostri occhi.