09.02.2024 - - - ambiente storia escursionismo
Nel bosco di Camaldoli © Andrea GreciPercorrere a piedi la mulattiere che, in moderata discesa, scende da Prato alla Penna all'Eremo di Camaldoli, ci fa comprendere la meraviglia e lo stupore che, secondo la tradizione, colpirono San Romualdo tanto da convincerlo che quello era il luogo “giusto” per fondare una comunità monastica. La leggenda narra infatti che il santo giunse nella radura di Campo Amabile durante il suo viaggio dalla Romagna alla Toscana, rimanendo colpito da questo luogo dove “non si vedeva se non il cielo et in terra altro che arbori altissimi, e si sentivano alcuni uccelli cantare, che aiutavano la contemplazione, e facevano che più piacesse il silentio di quella solitudine”.
Spinto da da tale suggestione, Romualdo volle fondare qui un eremo, storicamente documentato nel 1023 e originariamente costituito da cinque celle e un oratorio. Contemporaneamente Romualdo ristrutturò il già esistente ospitale di Fontebona (l’odierna Camaldoli) già precedentemente gestito dai monaci di Badia Prataglia e che dal 1080 divenne anche monastero. Da quel momento quella Camaldolese fu un’unica comunità, dove convivevano però la vocazione cenobitica e quella eremitica. Questa doppia “vocazione” è rappresentata anche dal simbolo dell’ordine, due colombe che si abbeverano allo stesso calice.
Le parole di Romualdo sembrano anticipare di secoli una sensibilità ambienta che oggi appartiene a gran parte di noi e di cammina lungo questa tappa del Sentiero Italia CAI. Una sensibilità che deve però sempre ricordare che qui, come nella quasi totalità delle montagne italiane, ci troviamo immersi in un paesaggio culturale, dove elementi naturali e attività umane sono state storicamente sempre inscindibili e strettamente intrecciate. In questo senso le Regole emesse dai successori di Romualdo sono esemplari. Nel 1080 il quarto priore di Camaldoli Rodolfo codificò le Costitutiones Camaldulenses, dove l’aspetto mistico, spirituale e religioso si fonde all’attenzione per la conservazione del patrimonio forestale, dettata solo in parte motivazioni economiche e tecniche. Nel 1520 la tipografia del monastero (attiva fin dal XV secolo) stampò l’Eremiticae Vitae Regula, redatta dal beato Paolo Giustiniani, che diede poi origine anche alla nuova congregazione camaldolese (detta di Monte Corona) che fiorì poi in area veneta fino alla soppressione del 1935.
La Regula si può considerare un vero e proprio codice di regole forestali e raccoglie tutte le consuetudini accumulate in cinque secoli di vita della comunità. Dal testo emerge come l’attenzione alle foreste e alla loro conservazione, fosse parte integrante non solo dell’attività lavorativa dei monaci e degli eremiti, ma è anche un aspetto fondante della comunità stessa tanto che essi dovevano avere “grandissima cura, et diligenza, che i boschi, i quali sono intorno all’Eremo, non siano scemati, ne diminuiti in niun modo, ma più tosto allargati e cresciuti”.
I tagli avvennero comunque nei secoli successivi anche in questi boschi e il prelevamento di legname andò aumentando dopo il XVI secolo, ma la Foresta di Camaldoli mantenne condizioni di sfruttamento comunque inferiori ad altre zone limitrofe e ancora oggi la prevalenza di abeti monumentali (alberi utili nei cantieri navali ma soprattutto utilizzati nei grandi cantieri architettonici della Firenze medicea) è determinata dalle scelte operate dai monaci nei secoli passati. L'impegno dei monaci nel mantenere un equilibrio tra attività umane e bosco, tra utilizzo delle ricchezze forestali e loro conservazione, emerge chiaramente osservando l'aspetto del bosco che attraversiamo, dove la mando ordinatrice dell'uomo ha plasmato una foresta solo apparentemente naturale.
Scopri la tappa L05 del Sentiero Italia CAI da Badia Prataglia al Passo della Calla
L'Eremo di Camaldoli © Andrea Greci