Sulla carta di roccia non lascia traccia lo scalatore impegnato a disegnare le sue linee, noterebbe Erri De Luca. E valeva anche per Gino Buscaini, fortissimo scalatore di Varese, con la differenza che una volta rientrato lui sapeva trasferire la conoscenza che aveva fatto con la montagna in straordinarie illustrazioni. Eppure, pochi hanno saputo valorizzare quel talento, passato piuttosto in sordina, nonostante sia stato sotto agli occhi dei moltissimi che hanno consultato le celeberrime Guide dei Monti d’Italia (sette i volumi che lo vedono autore integrale), la collana edita da CAI e Touring Club da lui diretta dal 1968 al 2002, quando improvvisamente morì. A fare giustizia ci pensa ora un libro dove ogni parola trova senso, Scalate di penna e grafite. Le montagne disegnate di Gino Buscaini, scritto da Silvia Metzeltin, Alessandra Beltrame e Giovanna Durì (pp. 123, 24 euro, ill., Ronzani 2024).
Ci voleva in effetti la sensibilità di tutte e tre per portare a termine il progetto, scaturito dalla curiosità di Durì, grafica con la passione del disegno: avendo curato cataloghi di artisti come Gabriele Toccafondo e Pia Valentinis, le è bastata un’occhiata per capire ciò che a lungo è sfuggito, o forse è soggiaciuto a un’abilità alpinistica davvero straordinaria. Così imponente da colpire Walter Bonatti quella volta nel 1959 che al Monte Bianco, come è riportato anche nel libro, lo vide ripetere in solitaria la via da lui aperta otto anni prima al Grand Capucin, con Luciano Ghigo.
A fare da tramite è stata Beltrame, giornalista, scrittrice, autrice di libri e reportage di viaggio, direttrice della rivista “In alto” della Società Alpina Friulana che ha dato il patrocinio alla pubblicazione, insieme alla bellunese Fondazione Angelini per la Montagna.
Ma nulla avrebbe potuto realizzarsi senza Metzeltin, alpinista, geologa, scrittrice, prima donna ammessa al CAAI, con Bianca di Beaco, nel 1978, socia onoraria dal 2002 e socia della XXX Ottobre, compagna di Buscaini in quell’avventura nell’avventura che è vivere insieme d’alpinismo e d’amore. Loro due, lontani anni luce dall’alpinismo “dello spettacolo mercantile odierno, maschile o femminile che sia, allontanatosi troppo dalla mia scelta personale dell’andare per i monti e dalla mia visione sociale dell’universo femminile”, ci confessa con quella sincerità che l’ha sempre contraddistinta.
Il Buscaini illustratore è affrontato a tutto tondo: dal diploma di disegnatore meccanico all’approdo diciassettenne all’Aeronautica Militare, dove diventa pilota, alla grande opportunità di fondere le due passioni per la montagna e il disegno lavorando per il TCI. Ci era però voluto l’interessamento dell’allora Presidente Generale del CAI Renato Chabod, suo estimatore, per far superare al direttore del Touring la diffidenza suscitata al primo colloquio da quel giovane interessante che si era però presentato senza cravatta.
Per Buscaini il disegno era una forma di conoscenza della montagna, un momento di intimità, era il suggello di vie studiate e salite con perizia, la traduzione su carta e in bianco e nero, con grafite, carboncino o china, delle molte fotografie scattate da ogni angolo. Un tratto precisissimo, se per le Guide, che sapeva però farsi narrativo quando affrontava la maestosa vastità della Patagonia: è lì che si avverte l’emozione di chi, come Silvia e Gino, conobbe quella terra un attimo prima dell’avvento del turismo di massa. La coppia, con 43 prime salite assolute di cime innominate, ha esplorato in lungo e in largo le meringhe andine, sulle tracce di Padre De Agostini, con il desiderio di cercare sempre la via più difficile, la meno battuta, la più personale. Forse non esistono più alpinisti come loro, forse perché il mondo è cambiato nel frattempo. Del loro stile ci resta, per citare la stessa Metzeltin, “una impressione di infinito che richiede altre misure”.
Silvia Metzeltin, che rapporto c’è fra il Buscaini alpinista e disegnatore?
Ritengo che l’alpinismo gli abbia consentito di esprimere molte delle sue sensibilità e competenze umane e artistiche.
Come mai si è data meno importanza al disegnatore?
L’allora Presidente del CAI Renato Chabod, lui stesso dedito alla pittura di montagna, aveva captato le particolari attitudini di Buscaini oltre il suo successo nelle scalate solitarie, e lo aveva designato per la collaborazione alla Guida dei Monti d’Italia. La maggioranza degli alpinisti era interessata soprattutto al livello di attendibilità nelle descrizioni tecniche dei volumi di cui è stato autore, mentre ha sorvolato sulle qualità anche artistiche delle illustrazioni. Il connubio arte-precisione è stato però subito riconosciuto e apprezzato nelle redazioni del TCI, sia per i disegni sia per la cartografia, non solo per il livello dei testi.
È vero che non ha più nessun disegno di Gino? E i suoi strumenti li conserva ancora?
A volte ritrovo qualche suo schizzo sui miei libretti di appunti. Ma disegni, foto e strumenti sono nelle mani di amici, affinché prosegua un rapporto di sentimenti e non solo un documento di cultura, anche nell’uso fattivo. Basti pensare alla mostra itinerante realizzata dagli amici della Sezione di Valmadrera del CAI, in circolazione in molte sedi sezionali d’Italia.
Il primo disegno che le ha regalato suo marito?
Il primo che mi è caro è quello significativo della Torre Trieste. Poi mi sono cari quelli patagonici, che hanno accompagnato la nostra evoluzione di coppia nel narrare e in cui avevamo idealizzato uno sviluppo possibile nel nostro futuro personale.
In che occasione Buscaini ha disegnato per Ardito Desio?
Ardito Desio, che ho conosciuto allora Docente Emerito da poco in pensione nell’Istituto di Geologia di Milano, aveva un occhio da lince – non solo per i suoi Lincei! – per individuare capacità e attitudini delle persone e coinvolgerle. Buscaini ha disegnato per lui le minute per la base cartografica con isoipse per un suo lavoro sul Karakorum.
C’è un’emozione particolare nei racconti delle “cose patagoniche”: come vede l’alpinismo patagonico oggi?
Mi ritengo molto fortunata nell’aver ancora potuto coniugare nella multidecennale frequentazione della Patagonia le varie sfaccettature della mia passione alpinistica. Nei nostri libri e articoli intendevamo proporre un approccio che frenasse il turismo commerciale, pur essendo consapevoli che non si può remare contro il flusso della storia. Si può solo cercare di testimoniare il contesto autentico della propria esperienza. La mia è stata il dono di vivere un’utopia insieme alle sue impreviste e felici ricadute concrete nella quotidianità.