"Cinque giorni una estate" di Fred Zinneman

"Five Days One Summer - Cinque giorni una estate" Regia Fred Zinnemann, Fotografia Giuseppe Rotunno (Stati Uniti 1982) 108 minuti Presentato al Filmfestival di Trento nel 1983 Ultimo film di Zinnemann, regista austriaco naturalizzato statunitense. Vinse due Premi Oscar con "Da qui all'eternità" (1954) e con "Un uomo per tutte le stagioni" (1966). Suo anche "Mezzogiorno di fuoco" (1952) vincitore di quattro Oscar. Il film è reperibile presso la Cineteca Storica e Videoteca del Museo Nazionale della Montagna di Torino (Nella sala lettura dell’Area Documentazione è disponibile una postazione di consultazione per il pubblico, ma non è possibile noleggiare i film) e in Dvd: LaFeltrinelli, Amazon, ebay, ecc. oppure in streaming su alcune piattaforme)

Il film narra la storia, ambientata negli anni Trenta, di un amore problematico fra un medico scozzese cinquantenne, Douglas (Sean Connery), e una giovane donna Kate (Betsy Brantley). Il medico e la giovane trascorrono una vacanza sulle Alpi svizzere dove, in un piccolo albergo, si registrano come marito e moglie. Ma, i diritti dell'età si fanno avanti nelle sembianze di una giovane guida alpina, Johann Biari (Lambert Wilson), che si innamora della ragazza. La relazione con un uomo anziano diventa quindi più vulnerabile. È l'ultimo film girato da Fred Zinnemann che, per l'occasione, si avvale della straordinaria fotografia di Giuseppe Rotunno. Il soggetto è tratto dal racconto Maiden, Maiden di Kay Boyle, scrittrice e attivista politica statunitense. Le recensioni all’epoca furono tiepide e contrastanti e nonostante ciò, Cinque giorni un’estate, è considerato forse una delle migliori rappresentazioni cinematografiche non documentaristiche dell'alpinismo e della montagna. Sin dai primi fotogrammi si percepisce uno studio delle inquadrature peculiare capace di evidenziare dettagli e particolari movimenti di macchina che seguono l’orografia delle montagne “accarezzandole”, rendendole e dipingendole quasi umane. La ricostruzione degli ambienti è precisa e minuziosa, i dialoghi mai scontati né superficiali, così come i silenzi e i suoni d’ambiente che si intrecciano nella tessitura filmica.  I flash back sono essenziali e magistralmente contestualizzati nel racconto ritmati dallo scorrere delle sequenze filmate. L’intreccio sentimentale si sviluppa su più livelli tra i protagonisti (Douglas-Kate, Kate-Johann, Douglas-Sarah) ma anche tra di Maria e il suo promesso sposo morto quarant’anni prima in montagna e ritrovato in un crepaccio durante un’ascensione dei protagonisti). Relazioni complesse che si amalgamano con l’essenza stessa della montagna e dell’alpinismo: le paure, i timori, le ansie, le attese e le aspettative. I personaggi sono a tratti coinvolti in un gioco di sguardi e di silenzi che ne esaltano la dinamicità delle azioni. Le tecniche alpinistiche, le attrezzature utilizzate, la progressione su roccia e quella su ghiaccio, le discese in corda doppia senza dispositivi frenanti non mostrano pecche rispecchiando appieno il contesto dell’epoca. 

 

"Cinque giorni una estate" Riprese in parete © copyright Museo Montagna

Stessa positiva considerazione va rimarcata per le inquadrature delle riprese in parete: precisione, rigorosità e soprattutto conoscenza dell’ambiente in cui si opera. Il montaggio di Stuart Baird e le musiche di Elmer Bernstein sono all’altezza dell’opera, che a mio parere, può essere inserita fra le opere più emozionanti della letteratura cinematografica di montagna. Nel rispetto di chi non lo abbia ancora visto, non rivelo il finale del film che si chiuderà sì drammaticamente ma lasciando in sospeso, per alcuni, l’idea di una nuova vita e una nuova dimensione. Cinque giorni un’estate è da vedere anche per comprendere l’evoluzione del linguaggio cinematografico e soprattutto le differenze, per questo genere, fra documentari, docufiction e film a soggetto.