Isole... non isolate

Lungo la strada del bosco, molto spesso, si incontrano compromessi. Brutta parola, vero, “compromesso”? Meglio utilizzarne una percepita meno negativamente e molto più cara a chi è solito andar per monti: equilibrio

Lungo la strada del bosco, quella che vorrei delineare in questo blog, si cercano costantemente forme di equilibrio, tra interessi differenti che hanno come oggetto la stessa risorsa multifunzionale: l’ecosistema forestale.

Volevo scrivere di altro in questo secondo appuntamento, ma al lancio del nuovo portale de Lo Scarpone sono rimasto colpito dall’articolo di un “compagno di blog”, Marco Salvatori, che ha dedicato il suo pezzo inaugurale ad uno straordinario animale forestale dalla cresta rossa, che ricorda i punk londinesi delle origini: il picchio nero.

“La lezione del picchio nero”, scrive Marco, “illumina il fenomeno dell’abbandono delle montagne ed il calo demografico sotto un’altra luce, mostrandoci come possa anche rappresentare una grande opportunità dal punto di vista ambientale. Se da un lato il depopolamento delle aree interne pone delle sfide a livello sociale per le comunità umane, che spesso vengono viste con pessimismo per lo svuotamento dei piccoli paesi, dall’altro lato però la diminuzione della presenza umana può costituire un’occasione unica per la rinaturalizzazione ed il recupero degli ecosistemi”

Salvatori introduce così il concetto di “rewilding”, ovvero la scelta, in determinate aree, di favorire la libera evoluzione della natura, lasciandola ai suoi ritmi e ai suoi equilibri, con l’obiettivo di salvaguardare e incrementare la biodiversità. Questo può sembrare l’esatto contrario di ciò che ho affermato nel mio primo articolo: la necessità di prendersi cura del patrimonio forestale, di tornare ad avvicinarsi ad esso, di gestirlo maggiormente. Ma in realtà il rewilding, in alcune sue forme, può entrare eccome a far parte del concetto più ampio di Gestione Forestale Sostenibile.

Le domande che occorre porsi di fronte all’interessante spunto di Salvatori sono le seguenti: in questo Paese possiamo permetterci di applicare il rewilding? Se sì, a che scala, in quali zone, a quali condizioni e con quali rischi?

Riserva integrale di Sasso Fratino ©Luigi Torreggiani

Tre esempi (montando il grandangolo)

Per farvi capire come è possibile trovare il compromesso (anzi no, scusate, il punto di equilibrio!) per inserire il concetto di rewilding in un Paese come il nostro, relativamente piccolo e densamente popolato (non siamo il Canada, per intenderci) e con tanti problemi legati all'abbandono dei territori rurali (incendi, dissesto…), mi avvalgo di una metafora fotografica: vi chiedo di smontare dalla vostra mente il “teleobiettivo” e di montare un “grandangolo”, ragionare cioè a scala di paesaggio

Da anni, ad esempio, in Italia esistono, all'interno dei Parchi, le Riserve integrali; la più nota e antica è Sasso Fratino, nelle Foreste Casentinesi. In quella foresta, di circa 750 ettari posta in un versante impervio e poco adatto alle attività produttive, possono entrare solo gli addetti al controllo e i ricercatori, nessun’altro: si tratta di una forma di rewilding. Ma vi ricordate? Avete montato il grandangolo! Osservate attorno a quella e ad altre Riserve integrali: in poche decine di chilometri di raggio le attività umane esistono eccome. Boschi gestiti per produrre materia prima, che accolgono turisti, in cui vengono realizzati interventi di prevenzione di vario genere, dove la gestione è attiva e produttiva. Valli ancora vitali, che ospitano filiere del legno ma anche agricoltura di qualità. Valli custodite da comunità che dobbiamo preservare, per tanti motivi, economici, storici, sociali, culturali, ambientali. 

Un altro esempio di rewilding inserito in una “visione di paesaggio” è la Rete dei Boschi vetusti, promossa dal recente Testo Unico su Foreste e Filiere forestali, che verrà istituita a breve per conservare boschi con elevate caratteristiche di naturalità: il primo individuato è l’abetina di Rosello, in Abruzzo. Sicuramente ne riparleremo. 

Un terzo e ultimo esempio è quello promosso da un progetto a cui collaboro insieme a Compagnia delle Foreste, il Life SPAN, finanziato dall’Unione Europea. Questo progetto sta realizzando nella parte friulana della foresta del Cansiglio una curiosa e particolare forma di gestione naturalistica: la creazione di un insieme di “Aree di senescenza” (Saproxylic Habitat Sites) dove il bosco viene reso il più simile possibile a una foresta vergine, con alberi morti in piedi e a terra, radure e fusti in cui sono presenti cavità e ferite. Ricordatevi il grandangolo! Queste piccole “isole” sono sparse all’interno di una foresta attivamente gestita, molto vocata alla funzione turistico-ricreativa, dove si produce anche legname: esse agiscono come “nodi” di una “rete” che favorisce la diffusione della biodiversità, picchio nero compreso, in tutto il comprensorio forestale. 

Riserva integrale di Sasso Fratino ©Luigi Torreggiani

 

Isole… non isolate

Il concetto che vorrei lasciarvi è proprio quello di “isole”: Riserve Integrali, Boschi vetusti, Aree di senescenza all’interno di foreste produttive. Isole di biodiversità, più o meno grandi, tra loro interconnesse da corridoi ecologici, poste nel “mare” di un territorio complesso dove, a mio avviso, occorre conservare non solo habitat e specie, ma anche le attività umane e la vita dei paesi, rendendo l’insieme più naturale e resiliente, diminuendo al tempo stesso la nostra dipendenza di materie prime dall’estero. Isole utilissime a tutti noi, che proprio per questo bisognerebbe anche associare ad un corrispettivo economico per i proprietari boschivi e per chi vive e lavora in montagna, di fatto rinunciando a questi spazi nell’interesse collettivo. 

Riserva integrale di Sasso Fratino ©Luigi Torreggiani