Nell’ululone dal ventre giallo la selezione naturale sembra aver agito appositamente per renderlo simpatico agli occhi di noi umani. Visto di schiena questo anfibio simile ad un piccolo rospo appare assolutamente anonimo, con la sua colorazione mimetica color fango, mentre il ventre ci regala una meravigliosa screziatura giallo-arancio brillante. Se spaventato da potenziali predatori assume una buffa posa inarcuata con la quale cerca di mettere in mostra tutta l’estensione delle sue macchie colorate sul petto, l’addome e le zampe, per segnalare la sua velenosità.
La sgargiante colorazione si è infatti evoluta per comunicare la tossicità della sua pelle: la difesa chimica diventa efficace solo se associata ad un messaggio visivo di avvertimento. Il giallo è peraltro uno dei colori più diffusi in natura come segnale di tossicità, definito in biologia come “colorazione aposematica”. Ma le meraviglie di questo rospo minuto non finiscono qui: in primavera si raduna in piccole pozze e raccolte d’acqua e i maschi emettono un flebile richiamo, ripetuto anche 40 volte in un minuto, che ha fatto loro guadagnare l’appellativo di ululoni. Un ulteriore dettaglio un po’ melenso: le pupille dei loro occhi sono a forma di cuore.
Al di là del suo aspetto bizzarro, questa specie ci aiuta a capire alcuni dei recenti cambiamenti ambientali e gli stravolgimenti del territorio causati da noi umani. Legato per la sua riproduzione alle zone umide, l’ululone è attualmente considerato in rarefazione e in costante declino in Italia, eppure soltanto 150 anni fa era estremamente diffuso.
Il naturalista Edoardo De Betta nel 1863 riportava infatti che “è difficile trovare fossato, palude, stagno o pozzanghera, sia in pianura, sia sui colli o sui monti, in cui non abiti questo arci comunissimo rospo dal ventre color arancio infuocato”. Che cosa è successo in questo secolo e mezzo per far passare l’ululone da “arci comunissimo” a raro? Grandi opere di distruzione delle aree umide e di rettificazione dei fiumi hanno portato alla scomparsa della specie da gran parte del suo habitat. Le zone umide e i canneti sono stati infatti per molto tempo demonizzati e in gran parte interrati per fare spazio all’espansione dell’agricoltura.
Il pregiudizio nei confronti di questi ecosistemi è rimasto persino inciso nella lingua, come dimostra il verbo “bonificare”, e ha portato alla distruzione di oltre l’80% degli ambienti umidi dal 1700 ad oggi a livello globale. Eppure questi ecosistemi sono fondamentali per la ricca biodiversità che ospitano, per lo stoccaggio del carbonio, il filtraggio delle acque e il controllo delle piene dei fiumi. Grazie alle numerose evidenze scientifiche in tal senso a livello internazionale fortunatamente comincia ad affermarsi il concetto di room for the river, cioè l’idea che ridare spazio ai fiumi e alle aree umide possa contemporaneamente ridurre il rischio di alluvioni e apportare miglioramenti ambientali. L’ululone dal ventre giallo non può che esserne contento.