La strada del bosco

Cansiglio ©Luigi Torreggiani

“Vieni, c’è una strada nel bosco, il suo nome conosco, vuoi conoscerlo tu?”       

Questo è il ritornello di una canzone ormai antica, che i più giovani probabilmente ignoreranno del tutto. Il brano, proprio quest’anno, compie ottant’anni. Personalmente, io lo ricordo canticchiato da mia nonna. Chi, di una certa età, conosce questa canzone per averla sentita alla radio o alla TV, la assocerà molto probabilmente a una famosa versione di Claudio Villa, molto popolare durante il boom economico, ma la sua interessante storia inizia qualche anno prima.       

È il 1943, l’Italia è sotto i bombardamenti alleati, manca poco alla fatidica data dell’8 settembre. Mentre tante famiglie, logorate dalla guerra, cercano disperatamente di fuggire dalle città per rifugiarsi nelle campagne, in Italia esce un film che - ironia della sorte - s’intitola: “Fuga a due voci”. Si tratta di un film musicale, genere molto popolare all’epoca. Uno dei protagonisti è Gino Bechi, famoso baritono fiorentino che, in una scena, canta appunto le strofe di “La strada del bosco”, canzone che diventa immediatamente, da quel momento in poi, colonna sonora di quel drammatico momento storico.       

Quel bosco cantato da Bechi è speranza: nel testo della canzone il luogo di una fuga d’amore ma, probabilmente, anche metafora del cammino tanto sognato verso una vita diversa, un futuro di pace e libertà, o almeno così la percepiscono gli italiani. La canzone diventa talmente popolare che quando Vittorio De Sica, nel 1960, realizza “La Ciociara”, straordinaria pellicola che narra proprio di quel contesto storico, la fa canticchiare dal camionista che riporta a Roma le due protagoniste, madre (una straordinaria Sofia Loren) e figlia, durante il loro tragico ritorno alla normalità.       

A questo punto, i più attenti di voi avranno notato un errore: “Il titolo della canzone è ‘La strada NEL bosco’, non ‘DEL’ bosco!”. E invece no, nonostante il ritornello reciti “La strada NEL bosco”, il brano originale, quello del 1943, si chiama proprio così. Una sfumatura apparentemente insignificante che tuttavia, per me, assume un significato speciale. Mi colpisce perché da giornalista esperto di foreste ciò che faccio ogni giorno è proprio raccontare la strada DEI nostri boschi: da dove vengono, dove stanno andando, come possiamo “farli virare” verso un percorso sostenibile ma al tempo stesso utile ai nostri bisogni.

Locandina film Fuga a due voci

Strade divergenti

Il bosco in Italia ne ha fatta di strada. In quei tristi anni di guerra era molto, molto meno esteso di quanto lo sia ora: da secoli estirpato per far spazio al pascolo o all’agricoltura, in luoghi oggi impensabili, tagliato a turni brevissimi per produrre carbone, raso al suolo per le esigenze industriali e belliche. La superficie nazionale coperta da alberi a inizio ‘900 era quasi la metà di quella odierna e il bosco, laddove presente, non se la passava molto bene.
 

Ma dalla seconda metà dell’800, nel nostro Paese, hanno anche iniziato ad affermarsi le Scienze forestali, nate a Vallombrosa nel 1869. Nel 1923, esattamente un secolo fa, un’importantissima legge, ancora in vigore, ha iniziato a regolare in modo organico la tutela delle foreste, ponendo al centro non solo l’interesse privato, ma anche il bene comune.      

Poi però, dopo la seconda guerra mondiale, durante il boom economico in cui “La strada del bosco” imperversava nuovamente nelle radio con la versione di Claudio Villa, è arrivato l’oblio: l’esodo dalle campagne, l’uso massiccio di materie prime e fonti di energia non rinnovabili. La strada che hanno imboccato molti dei nostri boschi è stata quella dell’espansione incontrollata, in quei campi e pascoli che noi esseri umani abbiamo scelto di abbandonare. Due strade, la nostra e quella dei boschi, in direzioni diametralmente opposte.    

Coltivare e custodire: una responsabilità nazionale

Oggi il bosco copre oltre un terzo d’Italia, ha addirittura superato la superficie agricola. Più bosco significa maggiore assorbimento di carbonio, aspetto fondamentale per il contrasto alla crisi climatica ma anche, potenzialmente, più servizi ecosistemici: più legno, più funghi e frutti spontanei, più protezione dei versanti e delle infrastrutture, più acqua potabile, più aree idonee al nostro tempo libero.      
Anche più biodiversità? Sì e no, perché la perdita di aree aperte è un problema enorme per alcune specie, anche di grande interesse conservazionistico.      
Senza alcun rischio? Certamente no, perché l’espansione incontrollata di boschi non gestiti (e tanti boschi, in Italia, sono in una drammatica fase di abbandono gestionale) è, ad esempio, una delle principali concause che portano, assieme alla crisi climatica, all’aumento dei grandi incendi.      
 

Un castagneto abbandonato, in Liguria ©Luigi Torreggiani

Se avere più bosco è, in generale, cosa molto positiva, questo rappresenta, al tempo stesso, una sfida enorme, perché significa più responsabilità. È venuto il tempo per il nostro Paese di capire davvero cosa vuole fare di questo patrimonio immenso, un terzo del territorio nazionale. Un capitale naturale enorme, che va fatto tornare al centro dell’attenzione, che va pianificato e gestito, per valorizzarlo e al tempo stesso tutelarlo, per… “coltivare e custodire”, come è scritto nel Libro della Genesi. 

Dalle coste e dalle città, dove la popolazione nazionale da decenni si sta ammassando, occorre tornare a volgere lo sguardo a monte, là dove oltre cento anni fa c’erano i prati e i campi dei nostri nonni e bisnonni; là dove la strada di quella canzone rappresentava, in fondo, anche il simbolo di un legame tra la nostra società, la montagna e il mondo rurale, una relazione che è andata via via sfaldandosi e che, io penso, è fondamentale rinsaldare. Lo devono fare i politici, nonostante i pochi voti che offre la montagna, così come noi cittadini: prenderci cura dei nostri boschi è oggi una vera e propria responsabilità nazionale.   

Una nuova strada

Ecco perché, proprio adesso, occorre costruire assieme una nuova strada DEL bosco: una strada che accorci la distanza fisica, ma anche culturale, tra la nostra società e le foreste, che le accompagni verso una nuova fase. Soltanto avvicinandoci a loro, gestendole maggiormente e meglio, potremo creare più servizi ecosistemici, compresa la produzione di legname, materia prima rinnovabile che oggi importiamo per l’80% dall’estero. Non solo, potremo creare anche boschi più resilienti, salvaguardando la biodiversità, prevenendo gli incendi, contrastando la crisi climatica e trovando nuove forme di adattamento e convivenza con il “selvatico”, in ogni sua forma.

Dobbiamo ricostruire una nuova strada verso i boschi, dobbiamo immaginare la nuova strada DEI nostri boschi. Ecco perché ho scelto di chiamare questo Blog proprio così, come il titolo, apparentemente sbagliato, di quella vecchia canzone nata in un momento drammatico per il nostro Paese, ma anche alla vigilia del riscatto. Una canzone quasi dimenticata, che tra le sue semplici note ci narra di una speranza e di un legame antico: “La strada DEL bosco”.

Vorrei raccontare storie, aneddoti, buone pratiche, suggestioni: un insieme di brevi racconti per ricostruire assieme una nuova strada verso i boschi, per immaginare il nuovo cammino DEI nostri boschi.

Seguitemi quindi su questo Blog, vi porterò, tra passato e futuro, lungo la strada DEL bosco, “il suo nome conosco"... volete conoscerlo anche voi?