Dino Buzzati che amava le montagne

«Ricordiamoci che la natura sta diventando un’autentica ricchezza. Di tale ricchezza le Dolomiti sono una miniera prodigiosa che il mondo sempre più ci invidierà. Ma se la si sfrutta ciecamente, per la smania di pomparne i soldi, un bel giorno non ne resterà una briciola. Sono montagne delicate, basta poco a deturparle, un giorno pagheremo il conto. Un giorno, quando le Dolomiti saranno tutte un autodromo, la loro poesia andrà a farsi benedire». Questo brano è tratto dall’articolo Salvare dalle macchine le Tre Cime di Lavaredo diDino Buzzati pubblicato  sul Corriere della sera del 5 agosto del 1952.

Scritto con efficace stile narrativo contribuì a preservare le Tré Zìmes da uno scempio irreparabile. Con la motivazione delle Olimpiadi, programmate a Cortina nel ’56, alcuni spregiudicati imprenditori avevano infatti suggerito di realizzare una strada che collegasse il lago di Misurina al rifugio Locatelli, passando sotto le Tre Cime e arrivando prima al rifugio Zsigmondy-Comici e poi alla Val Fiscalina. 

Non era ancora in uso l’ipocrita termine “valorizzare”, ma il progetto venne motivato nello stesso modo usato oggi da chi vorrebbe sfruttare montagne e valli di altissimo valore paesaggistico e ambientale, realizzando devastanti impianti che colleghino il passo Giau e il Civetta (attraverso Mondeval), il Monte Rosa e Cervinia (attraverso il Vallone delle Cime Bianche), Pila e Cogne. Quel che resta della bellezza delle Alpi sarebbe sconvolto da balocchi di ferraglia, cemento e neve finta, per favorire un turismo greve e desolato. 
Nel finale di quell’articolo Buzzati prevede che con la progressiva invivibilità delle città, «solitudine, boschi e montagne diventeranno cose preziosissime».

Dino Buzzati nelle Dolomiti di Brenta - ©Rolly Marchi 

La sua passione per le scalate e le escursioni tra monti e valli affiora in romanzi come Bàrnabo delle montagne, Il segreto del bosco vecchio, e anche nel Deserto dei tartari; ma voglio ricordare anche due racconti che, a mio avviso, colgono con immediatezza la solitudine e la fragilità dell’uomo nel mondo delle alte cime: Notte d’inverno a Filadelfia, la storia di un paracadutista americano rimasto appeso senza scampo a una parete delle Pale di San Martino, non lontano da Cima Canali e La parete, dove raffigura la stolida indifferenza di un gruppo di turisti di fronte al protagonista che sta per precipitare nel vuoto.

Anche quando provò a immaginare la fine della sua vita, volle evocarla tra nevi e montagne, nell’articolo Sciatore d’autunno (1 dicembre 1967): «Tutto sta nel saperla fare bene, questa ultima e speriamo lunga, ultima discesa. (…) Dipende dalla saggezza, dalla bontà, dalla rassegnazione, dallo humor, dal buon gusto. Soltanto così ci si può salvare».

Dino Buzzati nelle Dolomiti di Brenta - ©Rolly Marchi  

Le foto originali di questo breve articolo sono un dono, inaspettato, che volle farmi un giorno il caro amico Rolly Marchi.