Nelle tracce del lupo. Intervista a Davide Sapienza e Lorenzo Pavolini

Un'indagine letteraria sul significato che il lupo riveste in ogni epoca nell'immaginario collettivo, un viaggio nell'animo umano inseguendo il richiamo del selvatico.

Nel 2012 in Lessinia fu avvistata la prima coppia di lupi da almeno un secolo: lei, Giulietta, era di origini appenniniche, lui, Slavc, veniva dalla Slovenia. Aveva percorso oltre mille chilometri per cercare il suo posto nel mondo, ovvero un areale dove stabilirsi con una femmina e garantire un futuro alla sua specie, generando cuccioli che avrebbero contribuito al ripopolamento delle Alpi Orientali. E lo aveva trovato lì, vicino alle Piccole Dolomiti vicentine, attraversando forse le stesse strade percorse dai suoi avi, molto prima di lui, quando in Europa i grandi carnivori circolavano liberamente.

È un richiamo ancestrale quello seguito da Slavc, così antico da far vibrare di emozione la dimensione residuale del selvatico che persiste, nonostante tutto, anche nell’uomo contemporaneo. Ed è proprio nella nascosta intersezione tra filosofia dell’umano e scienza della natura che si inseriscono le riflessioni contenute nel libro di Davide S. Sapienza e Lorenzo Pavolini, Nelle tracce del lupo (pp. 128, 15 euro, Ediciclo 2024), dove si ritrova la storia di Slavc e Giulietta, insieme a molte altre. Un’indagine letteraria sul significato che uno dei predatori per antonomasia riveste nell’immaginario comune di ogni epoca, ma in particolare della nostra che si ritrova a viverne il ritorno fra sgomento e fascinazione, attraversando una gamma di emozioni che risvegliano l'addomesticato senso del selvatico di cui scrive anche Matteo Righetto, autore della prefazione al volume, premessa per la costruzione di un nuovo spirito di coesistenza, o addirittura di coevoluzione fra specie capaci di vivere in equilibrio. Il libro, presentato a Trento Film Festival, sarà anche al Salone del Libro di Torino, il 10 maggio alla Sala della Montagna.

Il punto di vista letterario dell’opera, piena di citazioni da Jack London, Barry Lopez, Henry David Thoreau, Herman Hesse, si esalta sulla pagina ancora di più che nell’ascolto dell’omonimo podcast prodotto da Rai PlaySound Original nel 2022, dove piuttosto si apprezza la vive voce delle numerose testimonianze di studiosi come Luigi Boitani, Emerito di Zoologia alla Sapienza («il nostro colonnello Kurtz», lo chiamano gli autori), o Riccardo Rao, docente di Storia Medioevale a Bergamo. A decine si alternano le riflessioni di persone che a vario titolo, dalle Alpi agli Appennini, si sono imbattute nel lupo per lavoro o per destino, come lo scrittore e naturalista Giancarlo Ferron, l’antropologa Irene Borgna, il rifugista Davide Ferro, il guardiaparco Luca Giunti, l’esperto di fauna selvatica Bepi Pinter, o il fotografo Bruno D’Amicis, autore dell’immagine di copertina. Dacia Maraini vi racconta della lupa chiamata come lei che la trovò intorno a Pescasseroli senza poterla più restituire al branco. Ognuno ha il suo lupo qui, ognuno vive un prima e un dopo l’incontro. Per tutti il “richiamo della foresta” si è levato alto come un ululato, interrogando le coscienze.

Da sinistra, Davide Sapienza e Lorenzo Pavolini nelle Orobie. Foto degli autori.

«Il podcast è nato da un’idea di Lorenzo, con cui la stima che già c’era si è trasformata in un’amicizia straordinaria, dopo aver condiviso momenti magici, persona generosa con cui ho scritto anche Ghiaccio sottile, sempre per Rai PlaySound», spiega Davide Sapienza, monzese del ’63, che dopo gli inizi nel giornalismo e nell’editoria musicale, si è messo a viaggiare “alla Michieli” (i due sono in effetti amici e hanno camminato insieme), in maniera estrema, nel grande nord dello Yukon in Canada e della Norvegia, traendone libri e reportage per varie riviste. È diventato il traduttore di Jack London (Zanna bianca e Il richiamo della foresta), oltre che un Geopoeta, definizione che dà il titolo al libro del 2019 (Bolis Edizioni) dedicato alle sue Avventure nelle terre della percezione. «Lorenzo voleva uno scrittore “selvatico” per sviluppare un’idea sul lupo. Pensava a me per la mia amicizia con Barry Lopez (di cui ha tradotto Uomini e lupi, NdR) e i miei interessi per le popolazioni indigene. Abbiamo scritto subito la struttura e ci siamo lanciati in quest’avventura senza avere ancora un committente. Il titolo mi è venuto subito: nelle tracce e non sulle tracce, perché raccontare lo spirito selvatico significa rifiutare il bisogno di vedere e toccare sempre tutto, tipico di questa società pornografica».

Un’impostazione condivisa da Lorenzo Pavolini, un cognome importante la cui storia famigliare è raccontata in Accanto alla tigre (Fandango 2012), finalista al Premio Strega. Romano del ’64, vicedirettore della prestigiosa rivista “Nuovi orizzonti” diretta da Dacia Maraini e fondata da Moravia, ha un’immagine così letterata e poco social che non lascia facilmente intuire la passione per la vita all’aria aperta, le grandi camminate, le traversate oceaniche, il windsurf, la vela, nutrita fin da ragazzo. Spia ne è però il romanzoTre fratelli magri, ambientato in Abruzzo, «dove avevamo una piccola casa, terra selvaggia di lupi e di orsi, un piccolo Tibet, come lo definiva Fosco Maraini» dice, da socio CAI di Castelli, sotto al Monte Camicia. «Per me il Gran Sasso è sempre stato una meta fondamentale, anche se mia madre ha perso un fratello al Corno Piccolo nel ’53. Sono sempre stato attratto dalla vita outdoor, ma il lavoro mi chiudeva in uno studio di registrazione o dentro la pagina scritta, dove si porta solo ciò che si vuole della realtà esterna, è l’inganno della scrittura. E allora sentivo forte il bisogno di portare il lavoro culturale in relazione al sistema natura a cui afferiamo. Come Davide, ma anche come Righetto e Cognetti, appartengo alla generazione di coloro che cercano di recuperare una tensione fra montagna e città, trovando una nuova grammatica». Ma è il Pavolini autore radiofonico per Radio3 Rai, da oltre 20 anni con il programma “Alta voce”, ad avere più affinità con il grande predatore: «Per chi è abituato all’ascolto il lupo è il soggetto ideale: non si vede, ma si avverte, se ne ascolta l’ululato». Se si è fortunati, se ne seguono le tracce. 

Quelle tracce portano molto indietro nel tempo, nel profondo dell’animo umano, risvegliando un lato sacrale dell’esistenza: «Lorenzo aveva terminato le trascrizioni delle interviste e allora sono andato in montagna, in Val Sedornia (in Val Seriana, lui abita alle falde della Presolana, nella bergamasca, NdR), accompagnando un amico e cambiando meta all’ultimo, come faccio sempre. Era metà dicembre, c’erano 30 centimetri di neve, una neve perfetta dove non si affonda. A un certo punto ho visto delle tracce: erano quelle del nostro lupo. Io che iniziavo il libro dicendo che non mi interessava vederlo perché mi bastava sapere che c’era… Mi sono emozionato e ho capito che ce l’avremmo fatta. Quell’immagine mi è rimasta dentro per settimane, anche perché poi ho trovato altre tracce in Valzurio. Posso dire che il lupo è stato la mia salvezza, perché mi ha consentito di riconfrontarmi con parti profonde di me stesso, soprattutto dopo il covid, che qui ha colpito duramente».

Perché il lupo è così. Ancora Sapienza: «In tutto il mondo ha rappresentato l’animale che ci teme ma è attratto da noi, e così al contrario. Anche quando si usano parole di odio in fondo se ne ammira l’inafferrabilità. Puoi cercarlo nelle zone più remote, ma lui appare all’improvviso su una strada trafficata al Passo Staulanza, ai piedi del Pelmo, come scrive Righetto nella prefazione. O ti guarda mentre tu nemmeno lo sai, nel profondo di un bosco. Ha un’agenda, non è come il cane, sa quello che deve fare. Ci ricorda il percorso culturale che ci ha fatto passare dall’istinto al limite, ma anche l’illusione che abbiamo di avere tutto sotto controllo. È un simbolo che, come la montagna, ci mette di fronte a noi stessi».

E se il lupo fosse una canzone? Davide Sapienza rimanda subito all'amato John Trudell, attivista, cantante e poeta nativo americano, che ha tradotto e fatto conoscere in Italia. «Penso a Wazi’s Dream, con Bad Dog (l’album uscì nel 2015, quando Trudell morì, NdR), un brano che coglie profondamente il legame irrinunciabile che abbiamo con il flusso della vita e offre una visione di trasformazione che anche il selvatico e il lupo trasmettono alla mia sensibilità».

Davide Sapienza, foto dell'autore.
Lorenzo Pavolini, foto dell'autore.